Una sera all’opera
Era il 27 gennaio 2001 e il mondo celebrava il centenario della morte di Giuseppe Verdi. Io mi accingevo a recarmi in teatro per trascorrere una piacevole sera all’opera.
In tutti i teatri del mondo venivano rappresentate opere del genio italiano, colui che scrisse la colonna sonora di un’Italia unita dopo secoli.
Io ero allo Staatsoper, il più celebre teatro d’opera di Vienna, nella capitale di quell’impero asburgico che tanto aveva ispirato le note patriottiche del Nostro, culminate in quel coro degli schiavi ebrei nel Nabucco, inno del nostro Risorgimento.
Nelle strade del Ring c’erano ancora residui di una nevicata mattutina ed io cercavo di reggermi con quelle scarpe da sera décolleté.
Quella sera andavo all’opera ma non ero ancora consapevole che andavo incontro alla storia. A luci spente una voce racconta gli ultimi istanti di vita del Maestro, il pubblico si alza in silenzio e ascolta la narrazione …
Già in sala l’atmosfera cattura i miei sensi:
la platea è stracolma, e in ogni ordine di palco insieme a fiori bianchi e rossi – i colori dell’Austria – piccole bandiere tricolori glorificano Giuseppe Verdi e l’opera in scena, Otello.
A luci spente una voce racconta gli ultimi istanti di vita del Maestro, il pubblico si alza in silenzio e ascolta la narrazione:… in strada avevano messo sotto la sua finestra la paglia affinché gli zoccoli dei cavalli non potessero disturbare le ultime ore di vita terrena di Giuseppe Verdi…
Fa il suo ingresso l’Orchestra Filarmonica di Vienna, una delle più note e prestigiose al mondo: i Wiener, il nome con cui è universalmente conosciuta: il primo violino si alza e consente ai colleghi di accordare tutti gli strumenti: non è ancora musica, è solo il rito che precede l’ingresso in sala del Direttore d’orchestra; quella sera Marcello Viotti. Quando si apre il palcoscenico la magia ha inizio: è sera, lampi, tuoni, uragani e il coro intona una vela! Ma è la scena terza del secondo atto che vede sul palcoscenico due autentici leoni: il duetto tra Jago (Renato Bruson) e Otello (Jose Cura).
Dalle mie labbra esce un sussurro: grazie! Ho la consapevolezza di essere stata testimone, quella sera, di una rappresentazione che è nella storia dell’opera
La musica asseconda e sottolinea questo duetto ed il pubblico trattiene il respiro: gli artisti sul palcoscenico, gli orchestrali nel golfo mistico, le luci blu, la scenografia spoglia quasi a mettere in risalto gli interpreti, la bacchetta appassionata del Maestro Viotti trascinano il pubblico. E’ questa la magia di una rappresentazione d’ opera lirica. Il breve preludio al quarto atto riconduce l’attenzione al dramma e ci riporta a Desdemona: vestita di bianco, con i suoi capelli d’oro sciolti sulle spalle, un sommesso lamento di flauti tiene sospesa la cadenza, l’alternanza del corno inglese ai clarinetti fa da melodia ai legni.
Le rimembranze di Desdemona ne La canzone del salice vengono interrotte dal rumore di un uscio e così il pianissimo dei violini e dell’oboe viene sostituito dal fragore di tutta l’orchestra che preannuncia l’ingresso di Otello e il dramma che si sta per compiere.
Il direttore che ha disegnato per tutto il tempo con le sue braccia le note nell’ aria,
sospende la sua bacchetta fino a lasciare cadere gli arti sul corpo: il capo è chino. E’ finita.
Incredibilmente il pubblico in platea tace, attonito, rapito per dieci interminabili minuti, e poi, quando dalle quinte riescono sulla scena i cantanti è un tripudio.
Ripercorriamo la strada per dirigerci al ristorante consueto insieme a Marcello Viotti e Renato Bruson. Nei loro volti la stanchezza mista al compiacimento di essersi espressi attraverso la musica. Dalle mie labbra esce un sussurro: grazie! Ho la consapevolezza di essere stata testimone, quella sera, di una rappresentazione che è nella storia dell’opera.
Dedicato a Marcello Viotti, direttore scomparso prematuramente il 16 febbraio 2005 , e alla mia amata Vienna, luogo dell’anima.