Un bradipo senza fretta
All’orizzonte scorgo una casa. Faccio uno scatto degno di un bradipo che non ha fretta particolare e nel breve volgere di qualche ora sono sull’uscio. Starnutisco, sudo freddo. Impossibile visti i quaranta gradi che accompagnano questa giornata. Sprizzo allergia da tutti i pori.
Gli alberi sembrano sul punto di parlare, ma per vergogna non
aprono bocca.
Sono sovrappensiero. Sono sovrappeso. Quando torno mi metto a dieta emotivo-alimentare,
una cura dimagrante a base di autostima.
Tutto intorno deserto. Non deserto sabbioso. Un deserto vuoto, desolato.
Mi spiego meglio. Pieno di alberi,insetti silenziosi ma vistosi.
Gli alberi sembrano sul punto di parlare, ma per vergogna non
aprono bocca. Non si muove una foglia. Gli insetti volano, da fiore a fiore.
Cosa li rende irrequieti? Credo che sentano il bisogno di spostarsi per ventilarsi.
Stando fermo, è risaputo, il caldo non lo affronti facilmente.
Porca miseria, mi sono promesso di non usare avverbi.
Non riesco mai a mantenere i buoni propositi. Ma è solo una mia teoria.
Quella degli insetti, intendo.
Nessun segno di vita umana nel giro di chilometri. Vero, non posso esserne certo. Ma me lo sento.
Sono sudato e appiccicaticcio, continuo a starnutire come un pinguino col raffreddore.
Voglio solo farmi una doccia. Chissà se qui hanno l’acqua. Non posso più temporeggiare, non mi devo intalliare (non devo perdere del tempo prezioso, dalla lingua napoletana), non ho più alibi.
Mi hanno sempre insegnato che l’alibi non fa il monaco.
Nel senso del provolone (provolone del monaco, tipico della penisola sorrentina. Ne vado ghiotto).
Continuo a divagare. Busso e mi sembra un buon gioco.
Il buon gioco si vede dal mattino. La porta è chiusa e con due colpi di bussata si schiude. Quando ho la giornata impegnata tutto mi sembra scorrere così dolcemente, in maniera soave.
Ecco, di nuovo un avverbio. Ma non mi sembra il momento di buttarla sul poetico, non mi consento di cambiare stile di punto in bianco.
Con lo sguardo penetro quella fessura di circa tre centimetri e mezzo creata dalla porta schiusa. Col braccio apro la porta, chiedo scusa ed entro. Ci sono mobili di legno.
Il pavimento di legno. Un flacone da un litro di detersivo per legno ancora inspiegabilmente pieno.
Ragnatele e polvere ovunque. E grazie al c****, penso tra me e me, se qualcuno avesse avuto il buon senso di usare quel pronto legno. Ma è il momento meno opportuno per mettersi a pensare come una massaia inviperita e senza alcuna passione particolare. Potrebbe essere la casa di Pinocchio. O forse di Geppetto, è lui il falegname dei due.
Varco la soglia della seconda stanza. Un letto. Di legno. Cornici vuote appese senza un ordine preciso.
Di legno, le cornici e l’ordine impreciso. Resto in piedi, di fronte al letto. Sudo freddo ed ogni trenta secondi starnutisco. Sarò allergico al legno. Però l’allergia alla polvere mi pare più plausibile oltre che più diffusa. Quando torno a casa, se ci torno, devo fare una prova allergica.
Sono dentro da dieci minuti ed ecco che mi parte il settantacinquesimo starnuto (stavo starnutendo già quando ero lì fuori). Mi giro e dietro di me noto un’altra piccola stanza. Un trionfo della ceramica. Certo le mattonelle fucsia e il vasellame blu elettrico. Però pensandoci, Geppetto era diabetico e il diabete porta problemi seri alla vista. Nell’angolo del bagno scorgo la doccia.
Più in fretta che in furia mi spoglio, entro in doccia e aziono il getto. L’acqua c’è, ma non esce calda.
Non mi ci voleva proprio questa doccia fredda.