L’attesa (una canzone nella testa)
Me ne sto seduto sulla panchina di un piccolo parchetto periferico, uno di quegli spiazzi di erba bruciata da sole e ammoniaca dove la gente porta a cagare il cane mentre messaggia su WhatsApp. Però sono le due del pomeriggio, la gente è al lavoro, i cani attendono in sala con il colon già colmo di detriti e io mi posso rilassare al prematuro sole di marzo senza che un quadrupede scambi le mie gambe per la ruota di un’auto. Gli occhi chiusi, l’epidermide tirata dai raggi solari come fosse la pelle di un tamburo. Ho un motivetto in testa, ma non riesco ad associarlo ad alcunché. Eppure è una canzone che conosco bene.
Poi però la mia indole curiosa mi stuzzica le palpebre. Mi guardo attorno e noto un ragazzino a pochi metri da me. Non ha niente di particolare, senonché attende qualcosa. Si guarda frenetico a destra e sinistra, in corrispondenza delle due entrate del parchetto. Sbuffa, controlla lo schermo dello smartphone, rinfresca la schermata, sbuffa di nuovo, si cerca le palle attraverso le tasche dei pantaloni e quando le trova fa un saltello. Quindi sbuffa, di nuovo. Ho quella maledetta canzone sulla punta delle sinapsi.
Ho sempre tifato per chi attende. Ho sempre tifato per me stesso, che attendo da una vita. Abbandono lo schienale della panchina e porto il mio corpo in avanti. E’ un modo per dimostrare partecipazione. Ma il ragazzino non ha occhi per me. Si gratta la testa e sbatte la mano sull’anca. Arriverà, me lo sento. Non ti preoccupare, amico mio.
Per un attimo mi è sembrato di afferrare quel motivetto. E’ una canzone degli anni novanta, questo è assodato. Ehi, amico, ragazzino, non ti avvicinare all’uscita con quel passo sconsolato. Non desistere. Arriverà. Arriverà lei e arriverà pure quella canzone. Ora ti racconto questo. Quando ero piccolo passavo l’estate a casa di mia nonna. E’ una casa isolata, a fianco d’essa solamente un’altra casa dove abitava una Signora e anche codesta Signora aveva un
I rapporti umani sono così, non ci si vuole mai bene allo stesso modo
Ma dov’è finito? La mia mente ha deragliato verso l’esistenziale e ora che ritorna in carreggiata mi accorgo che il ragazzino non c’è più. Dov’é andato? Che abbia disertato? Desistito? Mi alzo e vorrei chiedere a qualcuno, ma c’è solo un cane che semina urina in ogni dove. Non si prende nemmeno la briga di fermarsi. Corre e piscia. Piscia e corre. Deve avere la gamba destra intrisa del suo piscio. Mi era sembrato, ora non ne sarei troppo sicuro ma davvero un qualcosa del genere l’ho visto, di vederlo parlottare con qualcuno proprio al limitare del parchetto, in prossimità dell’uscita.
Ma forse era solo la mia immaginazione.