Fateci largo!
Permesso… fateci largo per favore, che dobbiamo passare.
No, non è che lo dico veramente, perché io sono un cane, anzi, una cane femmina di nome Cara che non ha parole umane per poter esprimersi con gli altri umani. Cerco di farmi capire, ecco. Perché quello che chiedo, lo spazio per passare, non lo chiedo per me, ma per il mio amico, che è un umano a tutti gli effetti. Anche se non ci vede.
Nei suoi occhi c’è solo il buio, la notte, il vuoto più assoluto. Per questo lui ha bisogno di me, dei miei occhi; sono responsabile della sua sicurezza. Sono io la sua vista, il suo contatto con il mondo.
Non riesco a immaginare come sia vivere senza vedere nulla. Ho provato a chiudere gli occhi per un po’, per esempio, ma succede che mi addormento di botto e ne so quanto prima. Dovrebbero mettermi qualcosa sugli occhi, una benda, o un paio di occhiali scuri come quelli del mio amico, perché da sola non capisco.
Nemmeno di notte vale la pena fare un tentativo, perché anche se le luci sono spente io le ombre le distinguo. Per non dire che il naso è il mio terzo occhio, quello più importante, che mi fa “vedere” anche ciò che è nascosto allo sguardo.
Lui, l’umano, non ha il mio fiuto. Non percepisce gli odori come me, che per esempio sento la puzza di un gatto a chilometri di distanza. Lui quella puzza non la sente nemmeno se il gatto ce l’ha in braccio.
È cosa di tutti i giorni, purtroppo. In casa con noi abita un felino pestifero che chiamano Tobia, un solenne ruffiano che gli sta sempre addosso a reclamare coccole. L’umano non sente che il felino puzza di felino. Non lo vede, non ne annusa l’odore, non si accorge quando ce l’ha fra i piedi, se Tobia decide di tacere, così rischia di calpestarlo o inciampare e magari cadere dalle scale. Un umano privo di vista è un umano indifeso, in balia di chiunque, perfino di un gatto.
Io sono qua apposta per prendermi cura di lui.
Ero una cucciola quando qualcuno ha deciso che avrei potuto diventare gli occhi di un umano. Hanno scelto proprio me fra tutti i miei fratelli, poi per molto tempo mi hanno spiegato come avrei dovuto comportarmi qualora mi avessero incaricato di essere gli occhi dell’umano.
Non era facile concentrarmi, ero giovane e avevo tanta voglia di giocare. Tutto mi distraeva, un suono improvviso, una farfalla che passava, una palla che rotolava.
Ma presto ho capito che mi si chiedeva una cosa importante e ho dovuto crescere in fretta. Ho dovuto dimenticare i miei istinti giocosi, o meglio, controllarli.
Mi hanno insegnato le cose strane che un umano deve fare tutti i giorni.
Un umano deve uscire di casa, a volte andare a lavorare, a volte solo passeggiare. Ma camminare nella totale oscurità in città è da suicidio. Ovunque ci sono scale e scalini da salire e scendere, pali e piloni da evitare, creature da schivare, strade da attraversare.
Ovunque ci sono scale e scalini da salire e scendere, pali e piloni da evitare, creature da schivare, strade da attraversare.
Poi ci sono quelle cose strane che chiamano semafori, con le luci colorate. Bisogna sapere con quale luce si può passare dall’altro lato della strada, perché se sbagli rischi di non poterlo nemmeno raccontare. Va da sé che per passare da un lato all’altro, oltre al semaforo, devi calpestare delle linee bianche sull’asfalto.
Non è per niente facile, ve lo garantisco. Sono cose incomprensibili ma che bisogna imparare per salvarsi la pelle, e salvarla all’umano che è con te. Perché tu sei il suo angelo, mi hanno detto, un angelo senza ali e con la coda. Cosa sia un angelo non me lo hanno spiegato, ma dev’essere una cosa bella se ha le ali. Tutti quelli che hanno le ali sono belli, perché volare dev’essere decisamente meraviglioso.
Nell’avventurarsi sulle strade ci sono percorsi precisi da seguire, quindi bisogna imparare a capire dove esattamente l’umano vuole andare. Lui me lo dice, ma ovviamente c’è voluto un po’ di tempo per capirci a vicenda. Ora so quando vuole andare al bar, o alla Posta, o al lavoro, o dal medico. Conosco le strade, non mi sbaglio mai. Anzi, lo anticipo, quasi non occorre che me lo chieda, lo so da me. Non so come, è così. L’umano è come un cucciolo che ha bisogno della sua mamma. Una mamma capisce al volo il suo cucciolo, lo accudisce e lo protegge contro i pericoli. Come forse fanno anche gli angeli, quelli veri con le ali, con le creature. Mamme e angeli sono la stessa cosa?
Mamme e angeli sono la stessa cosa?
Ecco, io lo proteggo ogni volta che usciamo di casa, dalle insidie del percorso, dalle macchine rombanti e da qualsiasi altro veicolo che abbia una fretta così tremenda da non poter fare attenzione a creature senza difese e senza armi che non possono nemmeno scansarli.
Siamo in due, eppure siamo una cosa sola, uniti solo da una maniglia che è un prolungamento dei nostri corpi, un intreccio vitale attraverso cui sentirci e rassicurarci a vicenda. Così diventiamo una creatura nuova che cammina con sei zampe ed è dotata di due teste, due bocche, ma soli due occhi. I miei.
In casa se la cava abbastanza bene, ma io lo veglio sempre anche con un occhio solo. Non si sa mai.
I cuccioli si mettono sempre nei guai, è una legge della natura.
Sono felice di essere stata scelta per questo umano. Sono felice quando mi cerca a tentoni la testa, me la prende fra le sue mani calde e mi riempie di carezze. Spesso mi dice: “Cara, sei una brava cagnona, sei il mio angelo in terra!”. E io allora mi addormento soddisfatta e sogno che presto avrò le ali che ora mi mancano.
Alla faccia del gatto Tobia e delle sue coccole pretese.
Ma intanto, scusate, fateci largo, che dobbiamo passare.