L’eclisse: quando un abbraccio significa distanza
L’eclisse conclude la trilogia dell’incomunicabilità di Michelangelo Antonioni, iniziata con L’avventura (1960) e La notte (1961). Il film si aggiudicò nel lontano 1962 il Premio speciale della giuria di Cannes, a pari merito con Il processo di Giovanna d’Arco di Robert Bresson.
Fra tutte le suggestioni visive del film ce n’è una, una semplice immagine de L’eclisse, che rimane impressa perché potente, apparentemente contraddittoria, e sì, diciamolo, anche perché mostra due bellissimi e grandissimi attori:
Monica Vitti e Alain Delon stretti in un abbraccio.
La Vitti ne L’eclisse è una giovane donna che ha appena lasciato il suo compagno, Alain Delon è la sua nuova storia, o meglio una bozza di una storia d’amore. Sotto una Roma così diversa da quella che conosciamo oggi, i due proveranno ad incastrarsi, a costruire un rapporto che il film condannerà all’incompletezza.
Sono rimasta qualche minuto a vedere questo abbraccio.
Gli abbracci in genere sono dei gesti caldi, momenti di amore, di vicinanza, di contatto, di unione non solo fisica ma anche mentale. Ebbene, vedendo questo abbraccio, i due sguardi rivolti altrove, le guance a contatto ma la mente chissà dove – forse a pensare all’ imminente sapore insignificante di una storia priva di dialogo – ho notato quanto un gesto possa sradicarsi dal suo significato originale.
Un po’ come il bacio di Giuda. Quando un bacio dovrebbe essere amore, e invece diventa tradimento.
Sotto una Roma così diversa da quella che conosciamo oggi, i due proveranno ad incastrarsi, a costruire un rapporto che il film condannerà all’incompletezza.
Nonostante il retrogusto un po’ amaro, questa bellissima immagine si fa istante di sincera rappresentazione di ciò che a volte, purtroppo, succede: essere vicini ma sentirsi incredibilmente lontani.
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