Non è più tempo di correre
Dove mi stanno portando? Non è più tempo di correre, questo lo so anche io. L’età che ho me la sento tutta addosso, volentieri me ne starei a pascolare pigramente l’erba verde, senza fretta. Che tanto, ossa e muscoli non sono più quelli di una volta.
Eppure nonostante questi acciacchi mi hanno prelevato dal pascolo e mi hanno fatto salire sul vecchio trailer della mia amica umana. E ora siamo in viaggio, non so per dove.
Ci fosse lei, la mia amica, sarebbe meglio. È l’unica di cui mi fido veramente. Sto con lei da quando sono nato, cioè da venticinque anni. Ero solo un puledro e lei una umana già avanti con gli anni. Però lei dice che siamo cresciuti insieme, ed è vero. È stata una seconda mamma per me.
Ma dov’è?
È un po’ di tempo che non viene ad accudirmi. L’ultima volta avevo sentito tra le sue mani l’odore della malattia, della vecchiaia, quello che anche io in qualche modo mi porto addosso. Non so se sia diverso, fra umani e cavalli, a me quell’odore è sembrato uguale al mio.
La mia amica umana era molto debole, quella volta, ma sempre così buona con me. Mi accarezzava il muso, mi strofinava le articolazioni, radunando la poca forza che le restava, con paglia e unguento. Diceva che poi avrebbe fatto lo stesso con le sue vecchie ossa. E rideva. E io nitrivo, perché io la capisco quando parla, il linguaggio umano non ha segreti per me. Dopo una vita trascorsa a parlarci, io capisco lei e lei capisce me. Io non parlo, ovvio, ma lei intende subito i miei movimenti, come muovo le orecchie, la coda, come mi sposto. Capisce cosa vuol dire quando arriccio le labbra e scopro i denti, poi fa finta di credere che io le stia sorridendo e magari dando un bacio. Ma sa bene che i cavalli non sanno sorridere come gli umani e non baciano nessuno. Le labbra servono per tastare e riconoscere odori e cose.
Ma sa bene che i cavalli non sanno sorridere come gli umani e non baciano nessuno
La mia amica mi baciava spesso sul muso, sulle labbra che dice essere morbide come velluto. Io mi tiravo indietro indispettito. Certo, anche a me è capitato di avere voglia di baciarla, ma non sapevo bene come e quando. Per me quel gesto ha un altro significato.
Dove mi starà portando questo coso? E perché lei non c’è?
Mi agito un po’, per come posso, sono legato saldamente. Ho visto cavalli anziani o malati salire su mezzi come questi e non tornare più. Mi è difficile credere che siano andati in vacanza, penso invece li abbiano condotti in pascoli infiniti e irraggiungibili da chi sta qua. Quelli da cui non torni più neanche se lo vuoi.
Io non è che non ci voglio andare, in quei pascoli, ma non ora. Sono vecchio, ma non ancora abbastanza. Ho ancora voglia di qualche sgroppata, dolori permettendo. E ho voglia dei bocconcini buoni che la mia amica mi porta ogni tanto, e anche delle sue carezze.
Ho ancora voglia di qualche sgroppata
Magari ecco, non ho molta voglia di incontrare le femmine, come mi hanno fatto fare per tanti anni (ho tanti di quei figli che ho perso il conto!), però può darsi che all’occorrenza ce la faccia ancora.
Non so, al momento non è il mio pensiero dominante.
Sbuffo all’indirizzo di chi guida questo coso, che ha preso una buca e mi ha fatto perdere l’equilibrio. Decisamente non è uno che si mette nel mio pelo. Sembra avere una gran fretta, buche e curve si fanno sentire, mi pare di essere ubriaco…
Levo alto un nitrito di protesta, che diamine! Ma andate a scuola di buone maniere dalla mia amica, che anche se è una umana sa come trattare noi cavalli. O per lo meno ha sempre saputo come trattare me. Sono uno stallone, sono maschio e ho un carattere forte. Non è stato facile neppure domarmi, ma lei, con la sua dolcezza, mi ha fatto fare di tutto. Lei non avrebbe permesso che mi trasportassero in questo modo rischiando di farmi male.
Finalmente la folle corsa sembra volgere al termine. Da qualche parte siamo arrivati, il mezzo rallenta e si ferma. Le narici vanno da sole a cercare di riconoscere luoghi e odori. Ma questo odore pesante e acuto non mi è familiare. Anche se qualche sfumatura mi arriva dentro e mi fa tremare.
Aprono lo sportello, mi fanno uscire in retromarcia, come sempre. Sono inquieto, questa cosa non mi piace. Accenno a una reazione, ma mi tengono saldo per la briglia. Si vede che non sono più lo stallone di un tempo. Nessuno avrebbe avuto la forza di tenermi se avessi voluto liberarmi. Solo la voce della mia amica aveva il potere di calmarmi. Senza corde, senza briglie, senza legacci. Con la sola forza del suo amore.
Una volta sceso mi guardo intorno, da sotto il ciuffo che mi copre la fronte e mi nasconde gli occhi. Ci sono tanti umani, ci sono tanti mezzi guidati dagli umani, c’è quell’odore che adesso riconosco: malattia e vecchiaia. E morte.
Non mi piace, mi agito ancora.
Mi conducono verso un gruppo di umani vestiti di bianco. Ce n’è uno disteso su un lettino con le ruote, è là che a quanto pare sono diretto. E ora, solo ora mi accorgo che in mezzo a quell’odore cattivo c’è un odore che amo più di ogni altro al mondo. È l’odore della mia amica umana, quasi irriconoscibile, reso acido da qualche strana sostanza. O dal dolore.
Ma che ci fa lei qui?
Mi avvicino da solo, non mi deve guidare nessuno. Mantengo le orecchie piegate in avanti in esplorazione, pronto a captare segnali di pericolo, se ce ne fossero. Ma qui non avverto pericolo. E quella là distesa, sotto un mucchio di coltri, è proprio lei.
È ancora più piccola del solito, sembra consumata. Qualcosa la sta consumando. Qualcosa che forse, presumo, presto consumerà anche me.
La sua voce è un esile fiato. Per fortuna l’udito ancora non mi ha abbandonato, non mi sbaglio. Ha detto il mio nome, quello con cui mi ha chiamato per venticinque anni.
Chino il capo verso di lei, mi scappa uno sbuffo per saluto.
Tutto intorno un sacco di umani, c’è chi fa foto, chi piange. Io non so piangere, però se lo sapessi fare questo sarebbe il momento giusto.
La mia piccola umana sta parlando. Mi dice che sta per partire verso pascoli verdi e infiniti, che non poteva però fare a meno di salutarmi, prima. Dice anche che avrebbe tanto voluto fare ancora una passeggiata con me, aggrappata al mio collo senza redini, senza morso, senza sella, con il vento sul viso, come quando eravamo giovani. Sarà la cosa che le mancherà di più, che le è mancata fino adesso, da quando non è stata più bene. E poi mi dice di non fare i capricci con chi avrà cura di me, che sono un bravo cavallo e tutti lo devono sapere, non solo lei.
Tutto questo mi dice, con un filo di voce che si disperde nell’aria, che nessuno può sentire tranne me. Non ha la forza di alzare una mano verso di me, lo vedo. Al braccio ha attaccata una bottiglia con un odore cattivo, ma non è quello che le impedisce di muoversi. È che proprio non ce la fa. È che la vita se ne sta andando da lei, risucchiandole tutte le scarse energie.
Lo so che è così che deve andare, e tuttavia qualcosa si ribella in me. Perché anche io vorrei ancora portarla sul dorso, leggera come piuma, e galoppare insieme, liberi, verso le colline. Vorrei accorrere al suo richiamo, che mi arrivava ovunque io fossi, e prendere dalle sue mani una mela, una carota, un biscotto. Vorrei divertirmi a fare i gesti che mi chiedeva gentilmente di fare, stupendo gli altri umani. Vorrei essere ancora il suo puledro capriccioso e ascoltare la sua risata alle mie capriole sgangherate.
Deve andare così, lo so, eppure non mi sta bene.
Raspo con lo zoccolo, sbuffo, scuoto il ciuffo dalla fronte.
Mi avvicino ancora di più. Avvicino le labbra di velluto, come le definiva lei, al suo viso grinzoso, e con delicatezza le poso sulle sue.
Un bacio, amica mia, alla fine ci sono riuscito a dartelo. Non è tardi per un bacio. È solo che non è più tempo di correre, per te, per noi. Non qui, almeno, ma in quei pascoli infiniti prima o poi ti raggiungerò. E torneremo a galoppare nel vento. Aspettami.