Il mercato del matrimonio
Sciacquò quel poco che aveva sporcato per colazione: una tazza da the, un piattino e un coltello da burro. Fissò lungamente il gorgo d’acqua sporca che scompariva nello scarico del lavello. Desiderò più di ogni altra cosa farsi risucchiare in quel sifone. Quella mattina era iniziata male, per quanto fuori ci fosse un sole estivo anomalo per un sabato di dicembre. I termosifoni sembrava non volessero fare il proprio dovere, lei il freddo lo sentiva dentro, nelle ossa, sottopelle. Appoggiata al tavolo iniziò a guardare ogni dettaglio di quella cucina così moderna, così attrezzata, così costosa. Ammirò le bellissime venature del legno, di un marroncino chiaro, quasi color miele, le maniglie in metallo satinato. Un tubolare fissato tra bancone e pensili faceva sfoggio di ogni attrezzo e tovaglietta necessari a quella casa da sposa che aveva sognato sin da ragazzina. Microonde, robot impastatutto, centrifuga, vasi con pasta di ogni forma e colore, allineati come bravi soldatini. Perfetti, congrui, adatti, intonati, una metafora dei suoi più intimi pensieri, della sua personalissima idea di famiglia felice. Quella cucina fu la scelta più combattuta durante i preparativi del matrimonio. Pensava che dovesse diventare il centro di tutta la casa, la stanza della convivialità, il nido caldo per accogliere con amore e manicaretti il marito stanco e stressato al ritorno da lavoro.
Per quanto si ritenesse una ragazza emancipata, diversa da sua madre, ribelle a tratti, non aveva la minima consapevolezza di quanto fosse invece intrisa da una mentalità provinciale che sarebbe stata la causa principale del suo futuro malessere. In realtà non se ne innamorò. lo volle.
Le fu semplice catturarlo credendo fosse per sempre. Il corpo lungo ed elegante, il ventre piatto, i seni generosi, lo sguardo da Eritrea, la bocca come una rosa di maggio mietevano vittime d’amore ad ogni sua apparizione. Eppure, senza volerlo, utilizzava le doti che madre natura le aveva regalato solo per contrattare meglio al mercato del sesso. Ovunque andasse offriva un assaggio di se stessa, occupando la scena con la sua camminata da felino in tacchi alti, con il movimento dei suoi capelli, lisci e lucidi, con gli abiti giusti, la risposta sempre pronta. Destava l’ammirazione dei maschi, ai quali non si concedeva, e l’invidia delle femmine, soprattutto di quelle che fin troppo si concedevano pur non ottenendo null’ altro che serate scomode sul sedile di un’auto. Non si intratteneva mai a lungo in conversazioni con evidente sfondo di corteggiamento. Giusto il tempo di caricare il proprio ego, non oltre. Aveva uno scanner al posto degli occhi. Se l’interlocutore non rientrava nei parametri giusti, veniva scartato senza la minima possibilità di recupero. Non era interessata tanto alla sicurezza economica, quanto al prestigio sociale, una scalata che se pur difficile non le costava fatica. La sua era una famiglia benestante, concreta. Lavoratori instancabili, con diverse possibilità di appagare i bisogni di figli proiettati verso un’idea della vita alquanto lussuosa. Quando prese la patente, non mancò l’utilitaria alla moda e di prestigio, il guardaroba straripava di abiti per ogni occasione, ma quello di cui sentiva la mancanza – vuoi per induzione, vuoi per deduzione – era proprio la fama, l’aurea di alta collocazione sociale che da sola si era costruita, ma che i suoi genitori non possedevano per tradizione. Il figlio di un avvocato e di un ex Sindaco, sfrontato, allegro, e neppure stupido sembrò la quadratura del cerchio. Quando la invitò ad uscire si sentì come un’atleta alle Olimpiadi che si tende dopo aver scoccato la freccia dalla balestra, restando in attesa che questa compia il suo percorso senza che nessun soffio di vento, nessun battito d’ali la devino da quella perfetta parabola. La freccia si era conficcata nel cerchio pieno, quello nero al centro del bersaglio, e lei si sentiva come la vincitrice di una medaglia d’oro al tiro con l’arco. Finalmente quello stato di tensione perpetuo si poteva acquietare. Il suo trofeo sarebbe arrivato la sera successiva in una berlina prugna metallizzato.
Senza che se ne rendesse conto, ogni domenica quella esibizione equivaleva a bestemmiare nella casa del Signore. Una chiesa gremita di gente e le panche in prima fila vuote, in attesa che venissero riempite dalle terga dei notabili del luogo. Sua madre la guardava orgogliosa in penultima fila. Quella figlia così bella e così ben inserita era il suo lavoro più riuscito
Il padre si adeguò ai voleri di sua moglie, diventando un uomo di mondo, al passo coi tempi. Non si oppose a nessuna proposta che arrivasse dalla prestigiosa famiglia con la quale si sperava di apparentarsi. Week end in montagna, viaggio negli States, tutto fu concesso a quella figlia che in fondo amavano più di se stessi. Una cecità di intenti li stava trasformando in ciò che non erano, li aveva messi ad un tavolo da gioco senza che ne conoscessero le regole, né la posta in palio, né la puntata minima. Un poker al massacro al quale si sottoponevano ben volentieri, sorridendo anche per gli strappi all’anima tutte le volte che avevano sentore che la figlia si allontanasse da loro. I due ragazzi ormai erano un coppia fissa ed ufficializzata e tanto bastava come garanzia. La bella mora era sulla bocca di tutti, le riconoscevano doti di intelligenza mai notate prima, eleganza raffinata quasi al pari della futura suocera, a tutti sembrava fosse nata per proseguire nel tempo la tradizione di quella perfetta famiglia in cui aveva avuto la fortuna di entrare. Furono felici anche molti maschi del posto. Accalappiato il rampollo, le ragazze al mercato del sesso abbassarono ulteriormente i prezzi, rinvigorendoli di nuove speranze.
In ottobre notò che il suo corpo stava cambiando, i suoi seni sempre più turgidi. Guardò l’agendina in pelle e si accorse che troppo le sfuggiva, anche la data delle sue mestruazioni. Un misto di terrore ed entusiasmo le avvampò la faccia
Il dottorino apprese la notizia perdendo il suo eterno sorriso, i suoi genitori abbassando lo sguardo, la professoressa con un ghigno che le scompose i lineamenti, l’avvocato come al solito non pervenne. La faccenda andava regolarizzata, questo il termine che pronunciò la futura suocera. Pensi di aver fatto un gran colpo, le disse. Sono una donna cattolica praticante, non ti costringerò a compiere un delitto, anche se di questo si tratta. Un delitto nei confronti di mio figlio, gli stai stroncando la carriera. Adesso ti terrai un po’ in disparte dalla vita pubblica, e speriamo che nessuno ci faccia troppo caso. Meglio per tutti se la tua faccia iniziano a scordarsela. Quella che le era sembrata il più prezioso dei mentori, si stava rivelando la peggiore delle streghe. Non contemplava neppure minimamente che in quella storia suo figlio ci aveva messo del suo, quantomeno in forma liquida. I preparativi per il matrimonio furono fulminei. Il rito si sarebbe dovuto celebrare prima che il suo bel ventre piatto si arrotondasse troppo. L’unico intoppo fu proprio la scelta della cucina. Ci credeva ancora in quel progetto e proprio nella scelta di quei mobili sfidò apertamente, per la prima volta, il piglio da guerriera di quella donna.
La vita coniugale durò pochi mesi, giusto il tempo che un bambino ignaro, figlio di un rapporto di rappresentanza, vedesse la luce
Sentì un dolore alle mascelle mentre ripensava a tutto ciò che era accaduto. Stava sorridendo, dopo tanto tempo sorrideva. Riaprì il rubinetto e senti che qualcosa fluiva dal suo corpo rendendola leggera, mischiandosi all’acqua, rendendola nuova. Si concentrò su quel buco al centro della vasca, vomitò quello che aveva mangiato e tutto quello che aveva sedimentato da mesi. Vide scomparire quella massa gelatinosa spinta dal getto. Realizzò che in quel sifone non voleva più finirci. Disallineò tutti gli elettrodomestici e i vasi trasparenti sul bancone, afferrò una tovaglietta di lino mai usata e si ripulì la bocca. Un vocina sottile provenne dalla camera accanto: Mamma! Le si riempirono gli occhi di nuova luce. Tesoro mio, sei sveglio! Adesso ci prepariamo ed usciamo.