La dura legge del gol
Ero appena un bambino, in spiaggia con i genitori. Di quelle giornate ricordo benissimo la noia, la scocciatura di doversi svegliare presto per andare, chissà per quale oscuro motivo, a cuocersi immobili sotto al sole. Un bambino che non ama il mare, la sabbia, i castelli? Beh, tanto per cominciare dove andavamo noi il mare faceva e fa ancora schifo, niente a che vedere con l’immaginario comune di un’enorme distesa che dall’azzurro chiaro della riva scurisce in blu dov’è più profondo. L’acqua del mio mare era di una sorta di verde-bottiglia-in-cui-c’era-del-vino-rosso-o-forse-beige. E poi la gente, dio mio, quanta gente (per non parlare del tipo di gente) può entrare in una spiaggia prima che il concetto di “relax” si vada a infrangere contro quello di “spazio personale”? Non sono mica andato in un centro commerciale!
Divagazioni a parte, una mattina come tante passa un vucumprà: “No grazie, niente collanine, occhiali, tatuaggi finti… stiamo apposto!”. Aspetta mamma! Avevo adocchiato una cosa, un’audiocassetta con la copertina di un calciatore nell’atto di una rovesciata, proprio come la mitica immagine delle figurine Panini. La volevo a tutti i costi, così mia madre me la comprò; si trattava di un celebre album degli 883: La dura legge del gol. A quell’epoca non ascoltavo musica, non avevo ancora avuto quell’input dall’interno che ti spinge ad accendere la radio o a ficcare una cassetta nello stereo e premere play. Ricordo che ancora più piccolo i miei genitori mettevano su il vinile de Il rock del Capitano Uncino di Bennato e io lo amavo, ma il mio primo personale passo verso il mondo della musica fu comprare quella cassetta.
Ancora oggi, che i miei gusti sono ben diversi, ricordo bene o male tutte le canzoni di quell’album. Mi piaceva tantissimo, lo amavo, ma la verità è che quella cassetta l’avevo acquistata solo ed esclusivamente perché aveva un calciatore in copertina. Il calcio è stato, di fatto, ciò che mi ha avvicinato alla musica. Parliamo dunque di calcio, o meglio, state a sentire cosa ho da dirvi a riguardo, perché quando sento parlare di quest’argomento noto che certe cose rimangono sempre lontane dal discorso. Perché ormai il calcio è soldi, campionati truccati, scommesse, giocatori ignoranti, cori razzisti, ultras violenti che devastano la fontana del Bernini, che-poi-che-ti-frega-se-la-tua-squadra-vince-mica-guadagni-qualcosa, gente che si scanna sui social, giornalisti papponi, arbitro cornuto e chi più ne ha più ne metta.
Ti insegna che oggi hai perso ma “domani ci rivediamo, stesso posto e stessa ora, e mi prendo la rivincita”.
Ti insegna l’incazzatura verso i tuoi amici, perché magari sono egoisti e non ti passano la palla. Ti insegna a fare pace, perché alla fine siete amici e quello è solo un gioco. Ti insegna che c’è chi è più forte di te, e forse ci sarà sempre, ma non sarà sempre lo stesso. Ti insegna che quando ti entrano nelle gambe in scivolata provi lo stesso dolore che provano gli altri quando sei tu a farlo. Ti insegna quanta gioia e leggerezza possa celarsi in un gesto inutile come buttare la palla in rete. E tu esulti, allarghi le braccia e alzi lo sguardo al cielo, e per un attimo ti senti veramente felice.
Oggi per me il calcio è goliardia. È il piacere di andare allo stadio con gli amici e sentirsi come a uno spettacolo di gladiatori al Colosseo, in mezzo a decine di migliaia di persone che come te si emozionano, cantano, incitano, si incazzano, sperano e talvolta piangono. È lo stupore sul viso di Stefania la prima volta che l’ho portata in curva. È urlare nove volte il nome del tuo campione, nove come il suo numero di maglia.
È ciò che da un senso alla domenica. È giocare a calcetto credendo di essere Cristiano Ronaldo e giocando invece come Ciaramitaro, quando non sei impegnato a sputare pezzi di polmone. È l’attesa che ti consuma quando la tua squadra proprio non vuole segnare. È sapere che la tattica conta, ma spesso è il cuore a fare la differenza. Ma soprattutto, più di ogni cosa, è la consapevolezza che la vita, proprio come il campionato, è lunga, va giocata partita dopo partita, e i bilanci vanno fatti solo alla fine.