L’allevatrice di aquile
L’allevatrice di aquile era solita controllare il proprio tesoro allo scoccare di ogni ora.
In modo maniacale annotava ogni minimo cambiamento e misurava con millimetrica precisione ogni deformazione del becco. Ne pareva ossessionata. Lo inquadrava, lo fissava, lo metteva a fuoco. È dal becco che si misura la loro potenza, aveva letto in qualche rivista scientifica. E lei desiderava allevare rapaci potenti, i più forti e coraggiosi.
Nessuno ormai osava chiederle del perché coltivasse una tale stramba passione. Tutti, dopo aver ricevuto come risposta un duro e ostinato silenzio, avevano accettato arrendevolmente il fatto. Anche coloro che dividevano insieme a lei il grande appartamento del centro. Erano soliti pagarle la pigione puntualmente, un affitto minimo, che le poteva garantire la sicurezza necessaria alla sua passione, nata quando aveva poco meno di sedici anni.
La caratteristica che più ricordo di Alma è che dimostrava un’età che anagraficamente non le apparteneva; la sua serietà intellettuale e il suo rigore costretto la facevano apparire ai miei occhi, e non solo, una donna assai più matura dei suoi piccoli diciannove anni.
Era ricca di esperienza, aveva già vissuto mille vite e si era costruita un profilo personale delineato e concreto; aveva consapevolezza di se stessa e del suo futuro. Tutto le era concesso, e già a quell’epoca le esperienze insignificanti della vita quotidiana le scorrevano addosso senza tracce. Studiava tanto, la sua mente non aveva quiete e ad ogni ora spronava il suo spirito a piegarsi all’autorevolezza dei grandi pensatori e del sapere più puro: la filosofia alimentava quotidianamente la sua voragine intellettuale e si placava solo quando il fisico assonnato reclamava un attimo di tregua.
Discorreva su ogni cosa con estrema naturalezza e il timore che suscitava era comunque inferiore all’ammirazione che si poteva provare per una mente di tale portata. I legami affettivi erano apparentemente segregati in un’aurea di saggia indipendenza: alla sua mente non era dato cedere ai futili momenti di debolezza e incertezza in cui un animo giovane può cadere. Pensava agli affetti più vicini con trepidazione nei momenti difficili e con distacco in quelli più positivi, e si lasciava coinvolgere nei malesseri altrui con leggerezza ma insieme con serietà e fermezza: era una spalla su cui potersi appoggiare allo stremo delle forze.
Il suo aspetto interiore si rifletteva come in uno specchio su quello esteriore
Le giornate erano scandite quotidianamente dallo stesso tempo e dai medesimi gesti che, in un costante moto perenne, si svolgevano in una monotonia quasi asfissiante. Ogni secondo della giornata era programmato e ogni azione extra ordinaria che potesse distogliere la mente e dunque sottrarre tempo allo studio, veniva punita con notti intere passate sui testi filosofici, quasi a voler espiare con una punizione fisica oltre che mentale, il tempo perduto e a suo dire irrecuperabile.
Mi venivano alla mente le immagini dei frati appartenenti agli ordini monastici più rigorosi, che sopportavano pene severissime, imponendosi vere e proprie sofferenze fisiche, quando tradivano gli impegni giurati. Appena la conobbi fu questa l’impressione che Alma mi suscitò, una donna ingabbiata nelle sue paure, religiosamente costretta dalle promesse che aveva fatto a se stessa, timorosa di tradire la sua volontà precedentemente pattuita.
Io ero altro, ero sperduta, ingenua, incapace di guardare oltre e sempre sull’orlo di ritornare indietro e mollare.
Io ero altro, ero sperduta, ingenua, incapace di guardare oltre
Nei mesi che iniziammo a trascorrere insieme, anche forse per una sottaciuta rassegnazione a dover condividere un piccolo spazio di pochi metri quadrati, il nostro legame intellettivo si saldò sempre di più, con l’immancabile complicità che ne poté derivare.
Capivo quotidianamente che quella donna avrebbe potuto insegnarmi tanto e darmi alcuni strumenti per affrontare quei momenti di crescita così difficili e tortuosi che provavano il mio animo in quegli anni. Non ci furono nottate solitarie, tristi o infruttuose: ogni singolo minuto di quegli anni mi ha portato un gradino più in alto. Lo scambio continuo, anche nei lunghi pomeriggi silenziosi, di lei davanti alle sue gabbie e agli appuntiti becchi, mi ha donato l’immensità dell’amicizia. Le esperienze vissute, i pasti condivisi, le risate e le ire gioconde hanno segnato la mia vita e i miei anni. Un legame intenso, forte e concentrato, interrotto dalla distanza, dagli anni e forse dagli amori, ma mai dimenticato.
Posso dire di aver conosciuto bene Alma, di averla vista sbocciare, da crisalide a farfalla, ma di lei non ho mai saputo perché coltivasse con tanta ostinazione la passione per le aquile e la filosofia.