L’umana crudeltà

Ciò che rende insopportabili le immagini di cristiani bruciati, o di nemici sgozzati davanti a una telecamera, il gusto di esibire la malvagità fa orrore per ragioni di tempo. Non per efferatezza.

Anche se indispone che tale malvagità venga spacciata per la volontà di un Dio, seppure mai nessuno sia stato capace di dimostrarne il coinvolgimento.

Quante persone ha fatto fuori l’Inquisizione? Sul tema c’è un dibattito. Ma poco importa il numero esatto, bensì contano le ragioni. Quanti morirono in nome di Dio nella conquista delle Americhe? Il grande Cesare fece fuori un sesto della popolazione della Gallia, e ad Alesia non esitò nel far morire di fame 20mila donne e bambini. Per non parlare di gente come Gengis Khan, che glorie nei loro paesi di origine, o Tamerlano. Per arrivare al re del Belgio n Congo. Così come tutti si ricordano della cattiveria dei nazionalsocialismo, ma pochi si soffermano sulle atrocità giapponesi in Cina, o della atrocità di Mao nella sua terra, superiori a quelle di quell’altro galantuomo che era Stalin che non disdegnava la morte dei suoi avversari in modi terribili, come l’odiato nemico Hitler.

Non c’è religione, area geografica, ideologia, o razza che distingua. L’orrore lo produciamo a piene mani ovunque. Ma i tempi sono determinanti, come le distanze. Queste sono cose del passato, e vederle ora ci inorridisce: la storia lenisce le ferite, il presente le acuisce. Come la lontananza rende più lievi gli eventi. Solo che ogni volta attribuiamo queste malefatte al razzismo, all’ideologia, alla religione o altro.

Quando in realtà sono solo eternamente e profondamente umane.