La chiave di accesso ai sogni
Nonostante fossimo finalmente arrivate a Venezia, e nonostante – forse proprio per questo – il cielo avesse temporaneamente smesso di piagnucolare, non avevamo molta fiducia. Non in quel ragazzo mascherato da Hannibal che in stazione si era proposto di accompagnarci fino all’Hotel Monaco Gran Canal. No grazie, facciamo da sole, la nostra risposta.
Procedete in direzione sud-est, ha esordito saccente il navigatore di Google Maps. Che per due sognatrici poco pragmatiche quali siamo è stato come dire seconda stella a destra e poi dritte fino al mattino. Del resto, avremmo dovuto metterlo in conto, che a Venezia il carnevale dura tutto l’anno e che gli scherzi non ce li avrebbero giocati solo i ragazzi festanti in maschera, ma anche la città stessa, con le sue calli pronte a cambiare verso e direzione per farci confondere un po’ e allungare un tragitto che, alle otto di sera, stanche e affamate, avremmo voluto il più breve possibile.
Ma chi resisterebbe al fascino dei canali ingioiellati dal riverbero delle luci sull’acqua? O alla paura rassicurante di “diavolo” e “assassini”, quando questi sono solo nomi scritti sulla pietra a indicare straduzze e piazzole? Di certo non noi.
E’ così che non abbiamo opposto troppa resistenza al richiamo burlone dell’intorno. Né ci siamo tappate le orecchie per non farci deviare dal canto ammaliatore di un luogo che racconta storie antiche, di mare e di terra, di uomini e di donne, di poeti e di mercanti.
– Perdonateci il ritardo, avevamo preannunciato il nostro arrivo per le otto e mezza, ma… –
– Non c’è problema, l’importante è che non lo sia per voi – ci ha rassicurato un uomo sorridente alla reception, con una cordialità ravvivata dall’inconfondibile accento veneziano – Ecco le chiavi della stanza. –
E che stanza! Era forse più giusto dire “ecco la chiave di accesso ai sogni!” Una deluxe room con vista sul mare, arredata in perfetto stile veneziano. Nelle novantaquattro camere dell’Hotel Monaco Gran Canal il valore si esplicita nell’eleganza e nel dettaglio piuttosto che nello sfarzo e nella grandezza. L’intarsio dorato sulla testiera dei letti, la luce calda e gentile, i mobili antichi ma mai invecchiati, le finestre alte e strette che danno su una terrazza, poi sul canale, poi chissà: lo sguardo, nel frattempo, si è perso nell’incanto dell’orizzonte.
Avremmo potuto rimanere lì tutto il tempo, in quello spazio che tanto parlava e tanto offriva di Venezia, a guardare gli scorci di panorama e gatteggiare tra il letto, la finestra e il ricco frigo bar, ma non potevamo negare alla realtà il privilegio di farsi vivere, quando essa era spettacolare e imprevedibile come un sogno.
Dopo aver mangiato, bevuto e schiamazzato per le calli, ormai appieno integrate nell’umore cittadino, il comfort dell’albergo ci ha riaccolte e mai come in quel momento, prima di chiudere davvero gli occhi e abbandonarci al sonno, abbiamo gradito lenzuola candide e calde coperte.
Per una mattina non abbiamo vissuto il trapasso fra sonno e veglia, visto che il sogno era senza fatica intercambiabile con la realtà. Scese a far colazione, nella sala affacciata sui primi tratti dell’Adriatico, un cameriere ci ha subito portato una terza sedia per
appoggiare le borse. E un altro ci ha domandato che cosa volessimo da bere. Due cappuccini belli cremosi, abbiamo risposto senza esitazione. Il resto era distribuito lungo tavolate di dolci e salati. Qui, dal tenore internazionale del buffet proposto, abbiamo iniziato a comprendere il nome dell’hotel.
Mentre ci preoccupavamo di rendere onore al sontuoso banchetto, addentando con delicatezza torte, brioches, uova e bacon, abbiamo fatto caso ai mosaici che separavano porzioni di spazio, creando zone d’intimità fra i commensali. Sono di Guido Cadolin – ci ha informato un cameriere – prima costituivano l’ingresso del cinema San Marco, poi, quando questo ha chiuso, sono state comprate dal proprietario del Monaco Gran Canal.
Ci saremmo intrattenute ancora più a lungo – già si erano fatte le dieci e mezza – a chiacchierare con quei gentili signori, che si premuravano di portarci un secondo e un terzo cappuccino al cacao e la torta appena sfornata, ma dovevamo correre a prendere il treno. Per farci risparmiare tempo alla reception ci hanno fornito una cartina e indicato il percorso più breve verso la stazione. Di sicuro avevano capito che tipo di viaggiatrici siamo.