Storia di un naufragio
Il 28 Dicembre 2014 la soprano greca Dimitra Theodossiou, molto conosciuta e apprezzata in Italia per la sua carriera belcantistica e verdiana sin dagli esordi, si è trovata coinvolta nel naufragio del traghetto Norman Atllantic tra l’Albania e le nostre coste. Io sono stata per molti anni il suo manager e ho mantenuto con lei un rapporto di amicizia, che mi ha consentito di raccogliere il suo racconto su quei fatti, che troverete qui su facciunsalto.it in due episodi.
Oggi ricorrono i due mesi dal naufragio.
Quando Dimitra è venuta a trovarmi a casa, una sera dei primi giorni di febbraio, è stata una grande felicità vedersela davanti, dopo le ore trascorse in trepida attesa di avere sue notizie, il 28 dicembre.
Avevamo saputo che si trovava a bordo del Norman Atlantic, traghetto che aveva preso fuoco nel mar Ionio davanti alle coste albanesi, rischiando il naufragio. Le condizioni meteorologiche molto sfavorevoli avevano reso estremamente difficili le operazioni di soccorso e anche la sopravvivenza dei passeggeri a bordo era stata messa a grave repentaglio.
La cronaca di questo avvenimento è stata seguita da tutti i media greci e italiani, e credo che sia nota ai più sia in Italia che all’estero. Quella sera rimanemmo connessi con la famiglia di lei e gli amici più intimi fino alla mezzanotte, poco prima che venissero interrotti i soccorsi, che sarebbero ripresi la mattina dopo. Fu un sollievo grande e insperato sapere che Dimitra era stata tratta in salvo dall’elicottero della marina militare con uno degli ultimi voli.
La stessa Dimitra ci fece giungere un voice-mail dall’ospedale di Lecce dove era stata ricoverata in ipotermia appena arrivata in terraferma. La sua voce era rotta dall’emozione e dalla sofferenza, e sentirla dava la misura di quello che lei doveva aver provato e di cosa provava adesso che era sana e salva.
Dimitra e io abbiamo viaggiato molto insieme per lavoro. Sono stati viaggi belli e importanti, quelli che abbiamo condiviso. Abbiamo riso, gioito di successi, siamo state sveglie intere notti, abbiamo trascinato pesanti valigie fino a paesi lontani.
Sono stati viaggi in parte avventurosi ma mai nessuno è stato tragico. Quando quella sera ho saputo cosa stava vivendo su quel traghetto, mi sono automaticamente connessa a lei tramite il ricordo di tanti momenti. Tuttavia, nei giorni successivi, non ho voluto importunarla con domande, interviste, curiosità. Ho pensato che fosse giusto lasciare che l’interesse dei media per questa vicenda andasse scemando. Volevo fare una chiacchierata con lei che avesse l’intimità adatta al lungo rapporto di amicizia e consuetudine che abbiamo.
Mi aspettavo di farle poi domande a tempo debito, di essere io a chiederle particolari, ricordi di quella terrificante disavventura. Non è stato così. Quella sera Dimitra è partita con un suo racconto, interrotto da poche mie intromissioni, di tutta la vicenda. Lei aveva la sua storia da raccontare, la sua chiave di lettura personale degli avvenimenti. Allora io mi sono messa in ascolto, e ho trovato solo le parole adatte a ridare nella mia lingua questa storia, che qui vado a narrare così come lei me l’ha affidata.
Premonizioni
Nei giorni precedenti al 27 dicembre 2014, data fissata per il suo viaggio in Italia, Dimitra ebbe la sensazione precisa che questo viaggio non si dovesse fare. Dato che avrebbe dovuto spostarsi tra molti impegni e luoghi distanti l’uno dall’altro, decise di viaggiare in traghetto per portare con sè l’auto. La prima tappa sarebbe stata Rimini, dove l’attendeva una produzione di Nabucco che inaugurava l’anno nuovo.
Qualcosa la rendeva inquieta, e se da una parte non sarebbe voluta partire, dall’altra sentiva il dovere professionale di partecipare alle prove. Così, si preparò per salire a bordo della nave che l’avrebbe portata in Italia. La notte di Natale, alla messa ortodossa, aveva incontrato un’amica che le aveva voluto far dono di un’icona dell’Arcangelo Michele, dicendole che la doveva assolutamente portare con sé in viaggio. Mi ha protetto in occasione di un terribile incidente, le disse l’amica, proteggerà anche te, ne hai bisogno perché viaggi molto.
Così preparati tutti i bagagli, si mise in viaggio verso Patrasso per salire sulla nave. A trenta chilometri da casa si rese conto di aver dimenticato l’icona di cui le aveva fatto dono l’amica, e per qualche motivo pensò che non fosse di buon auspicio affrontare il viaggio senza di quella, e tornò indietro a prenderla.
Imbarco
Con il pensiero rivolto verso la felicità che le ha sempre regalato il suo canto, e con l’aiuto della preghiera, combatté la sua personale battaglia contro lo sfinimento fisico, il freddo, la paura.
In cabina
Così Dimitra lasciò il garage per andare in cabina. Con un po’ di superstizione, quando le assegnarono la numero 13 se la fece cambiare. Le dettero la 17. Sorridendo, andò a prenderne possesso e, preparatasi per la notte in traversata, si addormentò.
Risveglio
Alle 4.30 di mattina fu svegliata da una sensazione di bruciore alla gola, dal bisogno di tossire, dalla necessità di bere acqua. Quando aprì gli occhi si accorse che nella cabina c’era del fumo. Si mise in orecchio ma non sentì alcun annuncio, istruzione o avvertimento. Non c’erano stati allarmi, sirene, niente; almeno lei non sentì niente. Si vestì con sotto ancora il pigiama, prese con sé un documento e i telefoni e aprì la porta della cabina uscendo in corridoio.
Appena uscita le venne di nuovo in mente, per qualche inspiegabile motivo, l’icona dell’Arcangelo Michele: tornò quindi in cabina a prenderla, lasciando lì tutto il resto degli effetti personali.
Il fumo e l’odore di bruciato fuori erano ancora più forti, così cominciò a bussare alle altre cabine ancora chiuse, dove evidentemente la gente dormiva, e ad avvisare del pericolo. I passeggeri del traghetto, accortisi del fuoco, cominciarono a precipitarsi fuori. Il personale di bordo sembrava essersi volatilizzato: nessuno era reperibile. Le persone cercavano di sfollare dai corridoi di accesso alle cabine. Man mano il fumo aumentava, il pavimento diventava sempre più caldo e sui ponti bassi non si poteva più stare. Si vedevano fiamme arrivare dallo scafo della nave, e così quasi tutti i passeggeri, oramai svegli, aiutati da un unico ufficiale di bordo, cominciarono a salire verso il ponte più alto della nave.
Storia
Coloro che hanno seguito la storia di quel naufragio sicuramente ricordano gli interminabili momenti di angoscia che hanno vissuto i passeggeri del traghetto e con loro i familiari e le persone vicine, ma anche molti spettatori inermi di una tragedia che avveniva sotto gli occhi di tutti, con l’aggravante del maltempo, della poca chiarezza riguardo alle dinamiche che avevano scatenato l’incendio e la difficoltà estrema nell’organizzazione dei soccorsi.
Uno spaccato di questa umanità
Dimitra mi ha raccontato della disperazione, del pensiero che andava al peggio: la morte davanti agli occhi, vicinissima, impossibile non sentirla vicina. Nelle ore in cui ancora funzionavano i contatti telefonici, lei prese la decisione di congedarsi dai suoi cari. Desiderava salutarli, nel caso che fosse successo il peggio. Più difficile di tutti, il colloquio con il figlio. Ma era lucida sulla pericolosità della situazione.
Mare molto mosso, vento forte, grandine neve pioggia ad alternarsi su quel tratto di mare, temperature rigide, e tutta l’acqua che veniva gettata sul traghetto per spegnere l’incendio e che inzuppava i passeggeri fino sotto la pelle, come se non bastassero i flutti che raggiungevano anche il ponte più alto, rendendo la permanenza a bordo della nave in preda alle fiamme insopportabile.
Pochi coloro che riuscirono a salvarsi con le scialuppe di salvataggio, molti quegl’altri recuperati con gli elicotteri poco alla volta, allorché approssimarsi all’imbarcazione divenne possibile. Dimitra si ancorò alla sua fede, e all’amore per la musica. Con il pensiero rivolto verso la felicità che le ha sempre regalato il suo canto, e con l’aiuto della preghiera, combatté la sua personale battaglia contro lo sfinimento fisico, il freddo, la paura.
Tornerò sul palcoscenico, tornerò a cantare, il mio canto sarà il mio grazie, sarà il trionfo sulla morte, sulla pochezza umana. Chi permette che viaggi come questo siano possibili, chi mette a rischio le vite delle persone per qualche interesse commerciale, dev’essere punito, punito anche solo con il grido di odio e di ribellione di chi è qui. Io tornerò a cantare, sarà il mio grazie a Dio per la salvezza.
Questo pensava la Theodossiou, ma intanto era testimone di tutti i vari comportamenti che l’uomo può avere in situazioni come queste. Un piccolo ritratto di questa società, di questo mondo di oggi, è quello che si sente di raccontare.
In quelle ore, nello spazio angusto di un ponte, l’unico abitabile della nave, mentre andava in scena il terrore e si alternavano speranza e rassegnazione, si assisteva a un pietoso spettacolo di varia umanità
Pochi quelli che vivevano con dignità e riservatezza il peggior destino, e si rifugiavano in un angolo, in solitudine ad attendere che la vita scegliesse per loro. Molti coloro che si lasciavano preda della disperazione con grida, suppliche, ricadendo passivamente su coloro che si dimostravano più forti, seminando il panico tra la folla. Ci fu persino chi si finse malato, anche gravemente, come un signore di mezza età che cercò di mandare avanti la madre sostenendo che la sua salute fosse gravemente compromessa, e che c’era per lei pericolo di vita. Più tardi Dimitra avrebbe sentito questa donna, salvata dal suo stesso elicottero, negare ai medici qualsivoglia malattia che la affliggesse.
Molti quelli che cercavano di tenere insieme la propria famiglia, soprattutto gli italiani. Secondo la cantante greca i propri connazionali, i passeggeri greci, erano i più altruisti di tutti, senza fare differenza di nazionalità e parentele. Molto bravi a tenere la calma e a confortare i passeggeri anche i tedeschi.
Dimitra ricorda che ad un certo punto pensò veramente di non farcela più, sentì le forze svanire, stava per prendere sonno. Ma un signore greco cominciò a schiaffeggiarla e a supplicarla di non dormire: se ti addormenti è la fine, devi stare sveglia, non ti devi addormentare… le diceva l’uomo scuotendola. Alle otto di sera, l’annuncio che presto i soccorsi si sarebbe interrotti. Lei si avvicinò a una signora tedesca, che si sentiva perduta. Cercò di farle forza.
Passò qualche tempo, la notte incedeva, la sensazione di essere oramai allo stremo, senza speranza, diventava sempre più concreta.
Fu la stessa signora tedesca a cui aveva fatto coraggio poco prima questa volta ad aiutarla a mettersi in piedi e a raggiungere i soccorsi.
Furono pochi attimi, confusi, difficili da ricostruire. Afferrarono una cima, vennero raccolte a bordo di un cestello. Dopo poco erano su un elicottero, alle undici di sera, dopo venti ore passate in un inferno. Stentava a credere di essere salva, che fosse davvero finita. Dimitra si guardò intorno, sull’elicottero riconobbe alcuni dei passeggeri.
Il giorno più lungo della sua vita era davvero finito, all’improvviso, come per miracolo.