Se molli il cellulare, ti premio
A scuola e nei ristoranti, tentativi di arginare uso e abuso degli smartphone. Locali controcorrente e il paradosso di qualche app per cellulare che dovrebbe ridurne l’utilizzo fra i banchi scolastici. Ma vediamo meglio.
Viene dagli Stati Uniti, come sempre, l’idea che si piazza a metà fra l’assurdo e il geniale. La app per telefoni mobili Pocket Points, infatti, premia gli studenti che non lasciano che la loro attenzione sia turbata dal cellulare. Ogni venti minuti, infatti, vengono assegnati punti allo studente assennato che non ha gettato nessuna occhiata al telefonino. Che si fa con questi punti, poi? Con 25 si ha diritto ad un bagel gratuito, ad esempio, da ritirare nei locali che aderiscono all’iniziativa. L’idea piace sia nei licei sia nelle università, che ne propongono l’uso e ne promuovono la diffusione.
La notizia ricorda un po’ quella del ristorante di Los Angeles – seguito poi da molti altri- che nel 2012 prometteva uno sconto a chi spegnesse il cellulare. Certo è, però, che le due campagne si indirizzano a un pubblico diverso e non è contorto immaginare due approcci profondamente differenti. L’adulto che si reca a ristorante per libera scelta e si ritrova a voler spegnere l’apparecchio mobile per ottenere lo sconto – anche potendo andare in un qualsiasi altro locale – è diverso dallo studente obbligato a recarsi a lezione al mattino e che, assonnato, conterà mentalmente i venti minuti che passano prefigurandosi già un panino caldo ritirato gratuitamente, app alla mano. Da una parte c’è la scelta di mettersi alla prova e rinunciare ad essere “always on”, sempre connesso, nell’altra iniziativa invece, personalmente, vedo un prendere per la gola ragazzini più o meno confusi, svogliati, distratti e sempre innamorati di qualcosa o di qualcuno che non c’è. Come tutti gli adolescenti, insomma. Da un lato il tentativo di sensibilizzare persone adulte, dall’altro quello, un po’ goffo, di responsabilizzare bambini – in realtà non più così bambini. Un po’ come quando si diceva che la divisa a scuola serviva per sentirci tutti uguali e gli studenti non capivano il perché di questo obbligo assurdo e lo personalizzavano apponendo toppe e svariate spille sui grembiuli – giacché si devono usare!
La cena a ristorante è un momento di libertà, di scelta da parte del cliente ma anche di affidamento al ristoratore che, nel promuovere per esempio una cena di tipo slow food, ha tutto il diritto di rendere “slow” anche i ritmi della serata, consigliando di staccare per qualche ora la stressante connessione dati. Terrore dei terrori per chi dovrà tornare a casa senza il selfie del buon appetito e la foto del succulento veggie burger con purea di patate viola e riduzione al vino rosé.
La scuola è un momento diverso. L’iperconnessione fraziona sì l’attenzione e diminuisce la concentrazione, ma quanto può essere ostacolato questo processo generando nella testa dell’adolescente una sorta di accanito conto alla rovescia per l’ottenimento dei suoi adorati punti-premio? C’è poi un’altra questione che stupisce anche gli under 25 come la sottoscritta: non era regola, fino a qualche tempo fa, spegnere i cellulari a scuola? La tecnologia ha già vinto la battaglia contro gli occhiali all’insù e gli sguardi severi delle insegnanti? Siamo davvero già arrivati al punto in cui non soltanto a questi pivelli è permesso usare il cellulare ma non usarlo per venti miseri minuti è atto ritenuto degno di premio? E quelli che il cellulare non lo usano abitualmente, che fanno? Scaricano la app per guadagnare punti – giacché ci sono -, oppure continuano a comportarsi come alunni di una volta punto e basta, ovvero a seguire lezioni e prendere appunti e scrivere compiti?
I cellulari sono un mezzo di comunicazione utilissimo che risucchia gli attimi di comunicazione vera per propinarne tanti in cui non si comunica niente ma si gioca a ping pong con frasi fatte e informazioni a mozziconi. Quanto però tentare di ridurne l’uso a una sorta di gioco a premi può essere reale alternativa a questa nuova dipendenza? Non sarebbe più bello, semplicemente, trovare un’altra maniera di ammaliare i ragazzi, lasciarli incuriosire, far sì che tendano spontaneamente l’orecchio alle parole di quegli adulti che passano ore in cattedra a parlare? Davanti a un bel film, si distrarrebbero allo stesso modo? Non dico di no in assoluto, ma sicuramente molto meno. Lì subentrerebbe il meccanismo-ristorante: cerco di fare a meno del cellulare perché so di avere davanti una situazione in cui è superfluo. Resta il fatto che per uno che decide di non usare il cellulare ce ne sono venti che lo tartassano fino a farlo/farla desistere. E che l’attenzione cala e chissà se c’è ancora modo di fare un passo indietro e appropriarsene o se vale invece la pena di cambiare radicalmente il nostro modo di essere pensare ed affrontare le cose, non approfondire più nulla ma sapere di tutto un po’, passando di link in link, di app in app. Una sorta di cultura enciclopedica high-tech e superficiale. L’idea non alletta, ma rientra nelle ipotesi.
Sarà che la matrice americana dell’invenzione mi porta a marchiarla, sarà che i tempi si sono velocizzati e non ho fatto a tempo a uscire dal liceo che già mi sento “un’altra generazione” rispetto a chi ancora ci sta, ma a me questa sembra una delle tante, infinite, americanate.
Chissà che, fossi un’americanetta e frequentassi una qualunque High School, non starei anche io a fare la fila per un dolcetto.