Lunedì
Lunedì. I viaggi hanno una doppia chiave di lettura. Se avvengono per questioni lavorative, mettono agitazione. Se fatti per vacanza, li vivi in maniera spensierata. Ovvio. Però dipende molto dalla compagnia.
Arriviamo a destinazione dopo quattro ore di macchina. Una macchina vecchia. Il secondo modello della punto, in pratica. Grigia. Suo zio è stato davvero gentile a prestarcela. Consuma poco grazie all’impianto a metano installato successivamente. Quattro ore per coprire duecento chilometri. Due soste. Una lunghissima per mangiare, riposare un poco e quasi digerire. La seconda per far visita a una mia cugina. Saluto veloce, consegna di albicocche fresche appena colte (tre chili pieni) e svuotamenti di vescica vari. Un sole da pazzi accompagna tutto il viaggio. Credo sia normale in agosto. All’orizzonte, sull’asfalto, un muro d’acqua. L’effetto classico della rifrazione dei raggi solari. Niente aria condizionata. Su questa statale spesso si resta bloccati per via delle rotonde. Dipende dall’ora. Nei minuti di attesa, col finestrino abbassato, i motori delle altre auto gettano i loro scarichi tutti nella tua macchina. Spero di ripartire quanto prima.
La salita d’ingresso è sempre uguale. A sinistra la solita erbaccia alta. Appena dietro quei quattro edifici. Più ruderi, oserei dire. Progettati oltre trent’anni fa, iniziati e mai terminati. Non ero ancora nato. A tre anni correvo a piedi scalzi e li vedevo lì. Fantasmagorici, spettrali. Bellissimi. Piccoli castelli di un mondo fantastico. I classici mondi fantastici dei bambini. Adesso no. Risaltano agli occhi in tutta la loro fatiscienza. Un unico scheletro grigio e compatto. Un’unica massa di cemento e foratini. Due piani e uno scantinato. Con le scale mezze rotte e pericolanti. A destra un piccolo pezzettino di terra ben curato, coltivato a pomodori. Una piccola gabbia con un paio di galline. Il vicino è un autoctono. Si prende molto cura delle sue cose. La casa ben curata che si staglia davanti ai nostri occhi ne è una prova chiara.
Molti tra noi hanno detto addio alla loro verginità tra quelle pietre stanche e sgretolate. Quel cemento che col passare degli anni si è disarmato (dai muri fuoriescono sbarre di ferro arrugginito che un tempo servivano ad armare il cemento). Immondizia e acqua accumulate nello scantinato. Nei varchi alcuni posti auto, calcinacci, erbacce e terra arida. Quante nottate illegali, ma del tutto lecite, passate in piena assenza di luce in quegli anfratti. Ora è un disastro ambientale in piena regola, ma nessuno ci fa più caso.
Agosto è quasi finito, l’ultima settimana questo parco si svuota. Prima c’erano due grandi prati. Qualche albero e una pianta di fichi d’India. Una bellissima siepe di pini che alcuni di noi hanno visto crescere. Al centro, tra i due prati, un piccolo anfiteatro. Luogo di ritrovo serale al ritorno dalla spiaggia e di scene ludiche e di litigi feroci e brevi. I classici screzi infantili. Un niente per scatenarli, ancora meno per dimenticarli.
Infine quella tettoia con panche e tavoli. Prima ancora inutile corridoio con fastidiosi sassolini. Prima ancora una pista di bocce. Quando un’altra generazione litigava per mezzo centimetro (“è brizzolata”, “no, è grigia”) per la vicinanza di quelle pesanti palle a un boccino. Quando la notte si tirava fino a tardi. Tra chiacchiere e consumo di zuccheri. Entrambi in eccedenza. Ora è tutto trasformato. Niente spazi comuni. Il viale di pose (mattoni autobloccanti e bruttissimi da vedere), che portava all’ingresso delle case, ha resistito. Ma è inesorabilmente spezzettato in sette parti.
Quello stesso viale che ha visto corse sfrenate a piedi nudi. Palloni rotolanti e ginocchia sbucciate. Lo stanco camminare di quattro generazioni. Ora sono sette unità abitative autonome. Quando cresciamo cambia sempre il punto di vista. Osserviamo le cose e le persone con occhi differenti, col passare del tempo. Quando le cose cambiano anche in modo fisico e strutturale, si dà coerenza a quella che è la realtà. Posiamo le valige, mangiamo un’albicocca. Quando mi capita più una luce così. Ci attende una bella settimana di riposo.