Sporchi negri, non sarete mai italiani
Il dito si precipita fulmineo sul tergicristallo, il gesto che compie è quasi automatico; dev’esserci una spiegazione neurologica. Come se da azione senziente fosse passato per il sistema simpatico, o parasimpatico, non saprei. Come se, intendo dire, il gesto si fosse degradato a livello degli istinti. Non appena avverto il pericolo, agisco. Basta un’ombra alle spalle e click, non riuscirai a lavarmi il vetro nemmeno stavolta.
Ma loro non sono tutti uguali e qualcuno più scaltro riesce a fottermi ancora. Si avvicina di soppiatto, con passo svelto e felpato, approfittando della zona d’ombra dello specchietto laterale. Sa dove si trova, tutte le auto ne hanno uno, e lui conosce tutti i modelli di tutte le marche. Regola i suoi tempi coordinandoli col battito delle mie palpebre. Un agguato in piena regola. Roba da sicari.
Torna al tuo paese, che mi spaventi i bambini.
Dice la televisione che viene da lontano, che ha attraversato il mare e il deserto per approdare in Italia. A lavare i vetri delle macchine. Al semaforo. Sotto casa mia. Diecimila chilometri e più per venire sotto casa mia, una migrazione da fare invidia alle anguille. Perché da lui c’era la guerra; e quindi lui scappa. Disertore e vile, oltre che negro. Se venisse la guerra a casa mia starei a combattere, non a fuggire, che se avessero fatto tutti come te le nazioni sarebbero spopolate: le guerre, amico mio che mi chiami cugino – e non siamo né cugini e men che mai amici – ci sono e sono state sempre e dovunque nel mondo. Ritorna a casa, difendi te stesso, la tua casa e la tua famiglia. La tua patria, se ne hai una. Imbraccia le armi che forse diventi meno scimmia e più uomo. Perché il futuro si costruisce dove si è nati, non andando in giro per il pianeta a rubare il presente altrui e il futuro dei loro figli.
Poi c’è quello che vende fazzoletti, d’inverno. Ma anche d’estate. Chi se li compra i fazzoletti d’estate? Perché non t’industri? Allora è proprio vero che sei d’una razza inferiore. Potrei capire un tempo, una decina d’anni fa, che l’aria condizionata in auto era un lusso delle berline. Che d’agosto si stava sudati come nella sauna e un fazzolettino poteva servire. Ma oggi, mi dici un po’ a che serve, tu che lo proponi con quell’aria allegra e tutto quel sorriso, che mi sa persino d’incoscienza? Non lo comprerà nessuno il tuo pacco di fazzoletti, se non per pietà, o per levarti rapidamente di torno. Mettiti a vendere bibite ghiacciate, té freddo, e vedi come le cose cambiano. Ma se tu pensassi, forse non saresti nero.
Imbraccia le armi che forse diventi meno scimmia e più uomo.
Fattosi il suo panino rendendo questo inutile servizio alla società, il negro poi torna a casa. E incontra la sua negra, e fanno tanti bei negretti. E qui comincia il bello.
Perché questi si riproducono come conigli, incuranti della miseria dove sguazzano e sprezzanti della fame nella quale proliferano. Coi loro figli ti popolano le scuole, e quelli salgono sugli autobus coi nostri ragazzi, e sudori e odori si mischiano, l’aria diventa mefitica e salmastra, sa di cipolla e gli occhi lacrimano. E non si sa più cosa è bianco e cosa è nero. Perché se i francesi non hanno il bidet ma si fanno la doccia, questi altri non si lavano proprio. Classi multietniche, dicono. Occasione di crescita per la società. Aprite le finestre pure a gennaio, non importa se piove. Io sento soltanto più puzza.
Perché il dna non conta più niente, naturalmente. E basta essere nati in Italia e parlare l’italiano e tifare Inter, o Milan o Juventus per potersi dire italiani. Che da noi si andava all’università quando al loro paese si rincorrevano le zebre lance alla mano, son quisquilie. Sono italiani, dicono: devono votare e scegliere il sindaco ed eleggere i nostri politici. Avere le case popolari e la disoccupazione e ogni tipo di sussidio. E costruire le loro moschee per poter cospirare indisturbati contro la nostra società e magari preparare qualche attentato. Io continuo a sperare che non accada mai.
Continuate pure ad invaderci fin tanto che non avremo la voglia – la forza già l’abbiamo – di ribellarci. Ma italiani no: non lo siete per sangue e quella sacra parola, “cittadinanza italiana”, sui vostri documenti non dovrà apparire mai.
E se per ottenere questo ci vuol la rivoluzione, allora ben venga.
Ti sembro stronzo? Scusa, sto provando solo a mettermi in un punto di vista diverso dal mio, magari mi convinco. Non ti sembro stronzo? Spiegami perché nei commenti. E se vuoi approfondire, vai a leggere quaggiù la presentazione di questa mia rubrica.