Adotta un pupazzo di neve
Li trovi nei cortili di case, al limitare delle strade, nelle piazze, nei parcheggi, nei giardini pubblici. Talvolta, se il “piano neve” del Comune ha difettato, pure nel mezzo delle vie. Li fanno i bambini, li fanno i genitori per i bambini, li fanno i genitori per se stessi, li fanno i ragazzi, gli uomini adulti, li fanno anche gli anziani. E loro se ne stanno qui o là, in qualsiasi luogo la mano di un destino imbacuccato con cuffia, sciarpa e guanti abbia deciso di farli sorgere. Un sorriso sbilenco prodotto da un ramoscello per dirti grazie, due braccia quasi invisibili e comunque inutili per un immaginario abbraccio.
Il pupazzo di neve è uno dei pochi motivi per cui si possa accettare una nevicata nel mondo contemporaneo. La neve è qualcosa di solido, stantio. Bella da vedere, ma se s’attacca non molla più. Non ci siamo. Ieri magari si, quando il cosmo era la città, il paese. Oggi no, perché se qui nevica e sia Mario l’imbianchino che Gigi l’idraulico stiracchiano la schiena e si rituffano nel letto, a Hong Kong non nevica e fa pure caldo e il mercato non prevede nessun tacito accordo di non belligeranza in caso di precipitazioni. Allora, mentre sacramentiamo zampettando tra la neve che ci arriva al ginocchio, non ci resta che guardare loro, i pupazzi di neve, presenze effimere e morfologicamente mutevoli che arredano città, paesi e case isolate nelle giornate di neve.
Il pupazzo di neve è come la livella di Totò: a meno che a qualche riccastro non venga la balzana idea di far luccicare due Swarosky all’altezza delle orbite oculari, non conosce conto in banca. Poca importanza ha pure la posizione geografica: la neve sempre neve è e i pupazzi sempre manciata su manciata si costruiscono. Che poi, a ben guardare, una qualche diversità ce la si trova sempre. Così sarà possibile trovare un pupazzo con due mandorle al posto degli occhi in quel di Pechino, un altro con catenone al collo e berretto dalla visiera abnorme in quel di Harlem,
presenze effimere e morfologicamente mutevoli che arredano città, paesi e case isolate nelle giornate di neve.
Il pupazzo di neve non è razzista. E come, direte voi, ci vorresti forse dire che esistono pupazzi di neve di colore? Ebbene si. Provate a fare un pupazzo di fianco ad una strada molto trafficata, tornate dopo un paio di giorni e troverete lo stesso amico di neve da voi creato. Però completamente nero.
Come già detto, la forma del pupazzo di neve è mutevole. Tornando a casa dal lavoro vi capiterà di guardare lo stesso pupazzo che avevate osservato al mattino e non capire come diamine può essere la stessa creazione di qualche ora appresso. Aveva una così bella testa tonda e due spalle larghe e curve, direte. Ed ora, invece, eccovi una capoccia ellittica, in certi punti pure smangiata. Per non parlare di quel braccio ormai informe. Attendete un paio di giorni e poi ridate un’occhiata allo stesso pupazzo. Ma vi avverto, avrete bisogno di tempo per trovarlo. Quando poi sarete sicuri che quel mucchietto di neve sormontato da una palla di neve è quel che rimane del glorioso pupazzo abbiate compassione, lasciate perdere il bus, che tanto sarà in ritardo, e spendete qualche secondo per raccogliere i due sassolini e il ramoscello che trovate a terra. Ridate occhi e sorriso al pupazzo di neve.
Quindi, quando la neve imbiancherà le vostre città, non vi lasciate prendere dal nervoso, non scaricate sui social network la vostra indignazione verso chi, invece, la neve la ama. Se non dovete andare al lavoro, o se un lavoro manco lo avete, fate un bel pupazzo dove vi capita. Altrimenti guardate quelli fatti da altri. Casomai, se vi sembra troppo tamarro o anonimo, intervenite, adattatelo alla vostra sensibilità. Adottate un pupazzo di neve.
Avrete la sua gratitudine. Almeno finché avrà un paio di sassolini e un ramoscello per dimostrarvelo.