Quanta saggezza in una tazza di sanguinaccio
Se i detti popolari non sbagliano mai, la mia città, in termini di quantità, credo abbia un primato da guinnes. Per ogni fatto, ricorrenza o episodio ha un suo detto, ficcante, pungente, ironico. La saggezza di un popolo che lotta e che non si arrende. Essendo però questa una rubrica a sfondo mangereccio, passo ora in rassegna i cinque migliori detti, secondo me, che si prestano all’occasione.
‘A gatta quanno nun po’ arriva a ‘o lardo, dice che fete
La gatta quando non arriva al pezzo di lardo, dice che puzza. Ovvero: quando qualcuno non riesce a fare qualcosa, dice che quella stessa non ha valore. Di sicuro vi sarà capitato di avere un’amica, un collega, un parente serpente che abbia snobbato palesemente un obiettivo solo perché non riuscivano proprio ad arrivarci. Anni delle medie, brufoli, apparecchi ai denti e la tua amica che ti dice: te lo lascio guarda… non mi piace per niente.
Dicette ‘o pappice ‘faccia a’ noce: damme tiempe ca te spertoso
Disse il verme alla noce: dammi un po’ di tempo che ti buco. Questo forse è uno dei miei detti preferiti. Mi sono sempre sentita un pappice nella vita. Un vermetto che, zitto zitto, scava oggi, scava domani, raggiunge il suo obiettivo. Mai frase mi fu più cucita addosso. Quando mi sono laureata, in tempo e con una buona media, non mi sembrava vero. E questa frase decisi di farla stampare sui bigliettini dei confetti, da regalare durante la festa. Anche dopo, cocciuta come una capra, decifrando una striscia di codice html, senza peraltro averlo mai studiato in vita mia, il pappice è ritornato prepotente in me. Credo che a questo punto mi farà compagnia per sempre.
‘O purpo s’adda cocere cu’ l’acqua soja
Il polpo si deve cuocere nella propria acqua. Una persona per rendersi conto che ha sbagliato deve meditare. E qui entra in campo il fegato. Sì, perché ce ne vuole tanto ad aspettare. Bisogna avere la pazienza (questa sconosciuta!) di aspettare che chi ha sbagliato capisca da solo dove e quando l’ha fatto. Ecco, il primo istinto è quello di andar lì e spaccare tutto, ma o’ purpo si deve cuocere, l’acqua deve sobbollire lentamente, a fuoco basso, per parecchio tempo, dopo di che si spegne il gas, e si lascia stare, in ammollo, nella sua acqua, finché non diventa fredda. Solo così il pluritentacolato avrà carne morbida. Che la solitudine sia una pena più severa dell’ira?
‘A carne ‘a sotto e i maccarùne ‘a coppa
La carne sotto e la pasta sopra. Le persone intelligenti soccombono e gli stupidi vanno avanti. Nella politica, nella vita, nella realtà quotidiana, c’è sempre questa possibilità. Per quanto uno studi, si impegni, si dia da fare insomma, esiste la remota (mica tanto…) possibilità di essere scavalcati, superati, soggiogati da una massa di ignoranti. A volte capita. Ma se la storia del pappice vi ha insegnato qualcosa di buono, bisogna perseverare, senza se e senza ma.
Puozza ittà o sang
Che tu possa buttare il sangue. Sì, insomma, che tu faccia una fine cruenta, con largo spargimento di sangue. Ecco vi sento. Questo non è un detto mangereccio, piuttosto è una bestemmia, una maledizione, una iattura. Ottima osservazione, avete ragione. Ma in realtà è tutto ampiamente considerato. Tempo fa, durante il Carnevale, c’era l’usanza di preparare un dolce, a detta degli over ‘anta, buonissimo, fatto mischiando sangue di maiale e cacao. Una goduria per il palato, i bimbi ne andavano letteralmente matti. Con il senno di poi e con la messa in vigore di ferree leggi che regolano la produzione alimentare, è stata vietata la vendita di questa leccornia. Dopo tanti anni il sangue si è davvero buttato ed è rimasto solo il cioccolato.
Per fare il Sanguinaccio (senza sangue) occorre:
1 litro di latte intero, 150 g di cacao amaro, 150 g di cioccolato fondente, 150 g di amido, 500 g di zucchero, una punta di cucchiaino di cannella, 1/2 cucchiaino raso di sugna, gocce di cioccolato fondente.
Setacciate zucchero farina e cacao e metteteli in un una pentola. Versate a filo il latte, mescolando con una frusta in modo da evitare i grumi. Accendete il fuoco più piccolo, portate ad ebollizione e cuocete per una decina di minuti. Circa due minuti prima, aggiungere il cioccolato a pezzetti e lasciare sciogliere del tutto. Se volete dare un tocco in più aggiungete sugna e cannella, poi mettete il tutto in un contenitore di vetro e lasciate riposare per almeno sei ore. Vi assicuro che è buonissimo, peccato davvero che sia molto legato al periodo di Carnevale… o forse meglio così!
Eccolo qua, in tutto il suo splendore: da mangiare con i savoiardi, chiacchiere, frappe, biscotti, ma anche da solo, a cucchiaiate!
Di questo ne mangerei a tonnellate, meno male che il Carnevale è quasi finito.