Buonanotte, mamma: epilogo di una simbiosi
Una mamma e una figlia.
Una mamma e una figlia nella stanza di una qualsiasi abitazione americana di qualche decennio fa. La radio fa da sottofondo rassicurante all’apertura del sipario, tentativo di maschera dei silenzi che regnano nell’appartamento.
Una mamma passiva, abituata a non corrispondere con ciò che gli altri vorrebbero che fosse, abituata a farsi carico, in silenzio, dei drammi che ha attorno. Una figlia epilettica e divorziata, nella fattispecie, che ha cresciuto, e con cui si ritrova a convivere nuovamente in età avanzata.
Una convivenza silenziosa, quella fra Thelma, la madre e Jessie, la figlia, fatta di piccole abitudini e silenziosa reciproca conoscenza
A Jessie però il compromesso non basta più: proprio quando i farmaci sembrano farla stare meglio, decide di farla finita. Va dalla madre serena e sorridente e le comunica la scelta mentre rimette in sesto la pistola del padre defunto.
Prima reazione della madre è il rifiuto totale: uccidersi è peccato, la pistola è di papà e non la puoi usare, se vuoi suicidarti non lo farai a casa mia. La donna sembra incapace di farsi carico del peso della confessione e del dolore della figlia: inventa motivi per sottrarla alla morte ma non si lascia andare ad autentiche espressioni di affetto e preoccupazione.
Seconda reazione. Le due decidono di vivere in serenità le ultime ore di Jessie. Preparano una cioccolata calda anche se non piace a nessuna delle due, decidono di lasciarla senza berla; sembrano toccare una complicità dimenticata, discorrono dell’infanzia di Jessie, della sua famiglia, del padre, delle amiche della madre. Jessie nel frattempo da istruzioni alla madre su come gestire la casa in sua assenza, quasi stesse per partire per un lungo viaggio: la vita chiusa in scatoloni di carta, compila elenchi e mette scotch ovunque.
Terza reazione: consapevolezza che nessun improvvisato buonumore e nessuna ritrovata armonia serviranno a far cambiare idea a Jessie. Crisi, urla, pentole buttate per aria, porte sbattute per impedire che quella pistola tiri il colpo fatale.
Buonanotte, mamma ha vinto nel 1983 il premio Pulitzer e, vedendolo in scena in questi giorni al Teatro Belli di Roma nella regia di Ciro Scalera, se ne comprende il perché.
Benché l’ambientazione – perfettamente ricreata dalla scenografia di Massimo Marafante – appaia lontana sia geograficamente che cronologicamente dalla nostra realtà, Buonanotte, Mamma affronta temi più che mai attuali.
Come reagisce una madre all’annuncio di una figlia che decide di darsi la morte? Suicidarsi significa arrendersi o è sinonimo di lotta estrema? La confessione che la figlia decide di fare alla madre -solo alla madre e a nessun altro- è semplice comunicazione, come Jessie ammette, o velatissima richiesta di aiuto? La madre ha colpa in quanto genitrice o i silenzi ermetici della figlia giustificano il fatto che non si sia mai accorta della sua sofferenza? Quanto c’entra la morte del padre, quanto le inadempienze della madre, il triste destino del figlio, ladruncolo e drogato, quanto il divorzio, quanto la malattia che affligge Jessie da sempre? Quanto la sua scelta è libera e quanto è invece influenzata e deformata dai fattori che hanno disegnato la sua vita così com’è, portandola ad una routine priva di senso?
D’altro canto, così marcata dalla figura di un marito che non ha mai amato, che ha sempre voluto cambiarla (non avevo niente di quello che voleva), la madre rinfaccia alla figlia l’ermetismo, i silenzi e poi addirittura la presunzione di ricercare la felicità.
Non sei felice, chi ti ha detto che dovevi esserlo?: porta come esempio il caso di lei, che felice non è mai stata ma che ha ovviato al problema passando pomeriggi nei supermercati, o a prendersi cura del giardino, o a lavorare all’uncinetto. Pone il suo esempio come valida alternativa al ripetersi monotono delle giornate che causano tristezza nella figlia. Potrebbe in fondo cambiare l’ordine dei mobili, comprare dei piatti nuovi.
Thelma inventa tante piccole bugie per nascondere una grande verità: senza la figlia, con cui vive in una malcelata simbiosi, la sua vita non avrebbe più senso.
La passiva accettazione di una condizione sgradevole non avrebbe più ragion d’essere se il gioco non andasse avanti in due. I vuoti tornerebbero a galla: il marito perso, i frutti della sua mancata ribellione. Uccidi me invece di suicidarti: è lo stesso, dice egoisticamente la madre, e poi mi fai sentire scema perché sono viva!
Il testo riecheggia a tratti il Leopardi di Plotino e Porfirio, ma sono tematiche talmente universali che azzardare paragoni è inutile.
Si torna a casa con l’eco delle urla di una madre disperata: Io non lo sapevo che eri così sola!
La madre non è in cattiva fede: affogata da anni nella passività, abituata a lasciarsi vivere, non ha mai avuto la forza di abbracciare con empatia la condizione della figlia.
La solitudine in due si maschera bene. Da soli, riemerge e divora.
La solitudine in due si maschera bene. Da soli, riemerge e divora.
Le due attrici raccontano meravigliosamente una storia drammatica ed estremamente attuale, il passaggio dalla rabbia alla desolazione, le tappe che portano allo scioglimento d’un legame viscerale secondo cui la figlia non può neanche lavarsi il volto senza che quest’azione abbia un legame con la figura materna.
Buonanotte, Mamma è per lo spettatore occasione di confronto con la parte più introspettiva di sé, ma anche di assistere ad uno spettacolo che merita il nostro consiglio.
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“Buonanotte, mamma”, Produzione N.O.S. – Nuovo Orizzonte Spettacolo, di Marsha Norman, per la regia di Ciro Scalera, con Elisabetta De Vito e Sarah Biacchi è in scena fino al 22 febbraio al Teatro Belli. Info qui.