Giulia Andò, la normanna di Palermo
Sono sul pianerottolo di un palazzo in pieno centro a Palermo. Due porte e nessuna con la targhetta del cognome. Penso che una possa essere la porta d’ingresso, l’altra quella di servizio, sarà lo stesso appartamento immagino. Una vale l’altra. E se non fosse? Chiederò scusa, dirò che cerco Giulia Andò, e che evidentemente avrei dovuto bussare altrove. Mi gingillo per qualche minuto in questo amletico dubbio quando un rumore di tacchi alti mi fa pensare alla salvezza. Proviene proprio dalla porta alla quale non avrei suonato, merda! Come un naufrago che aspetta di essere trovato mi giro pieno di speranza. Sì, sento la serratura che scatta, stava proprio venendo ad aprire. Mi vede e sorride, è lei.
Le rose che portavo in mano ormai da tutta la città, e che tanti sguardi di signore curiose avevano catturato, mi sembrano improvvisamente inadeguate, spente
Si domina la città, da ampie vetrate. La mezza luce di un pomeriggio di febbraio la illumina dalle spalle donandole un riflesso dorato sui capelli. Gli occhi sono grandi, pieni di vita, la bocca rinascimentale, il sorriso quasi timido. La voce, bassa ma impostata, rivela subito un carattere di tutto rispetto. Si muove tranquilla, continua a rispondere al citofono che intanto suona. Indica il piano all’interlocutore e ritorna a sedersi. Si acciambella sul divanetto con un incrocio di gambe che solo alle donne di gran fascino riesce. Litigo con il tablet per trovare la maledetta app che mi avrebbe permesso di registrare la nostra chiacchierata. La guardo di sottecchi, lei continua a sorridere, forse per la mia imbranataggine. Mi accorgo di non aver tolto nè cappotto nè sciarpa, ma è troppo tardi per riparare. Con una dea simile di fronte, di sicure ascendenze normanne, per giunta palermitana fino al midollo, qualche gaffe me la perdono da solo.
Quella stessa sera, il 7 febbraio, salirà sul palcoscenico del Teatro Massimo della sua città per la prima de Il quadro nero, ovvero La Vucciria, il grande silenzio palermitano.
Solo nei panni di altri, anche solo per brevi momenti, puoi comprendere il senso di ciò che non sai, di ciò che non sei
In un giorno preciso di una calda estate siciliana, ancora quattordicenne prenderà la decisione di fare l’attrice. Assistendo a uno spettacolo al Festival di Siracusa, nello stupefacente scenario dell’Orecchio di Dioniso. Si esibiva Fiona Shaw, in La terra Desolata di Eliot. Il testo è in inglese, ma Giulia pur non comprendendo le parole ne percepisce il senso, il più puro significato. Sarà la bravura di Fiona Show a permettere quest’alchimia. La passione dell’attrice sul palco, la sua recitazione verbale e corporea la conquistano. Si accorge che la comunicazione non passa esclusivamente attraverso un linguaggio codificato; scopre che mille altre sfaccettature possono arrivare all’altro, ottenendo un risultato di assoluto rilievo. Me lo racconta con convinzione totale, con trasporto d’anima e parole. Da quella sera, il sogno sarà quello di riprodurre da sè quella magia.
Il battesimo del palcoscenico lo ricorda nel ruolo di Ermia in Sogno di una notte di mezza estate, diretto da Bruce Myers. Prova sensazioni nuove allora, come un bambino che si stupisce per tanta meraviglia che lo circonda. Ma stare davanti a un pubblico la fa sentire bene, adeguata, in sintonia con il mondo. Nessuna paura, quelle tavole si rivelano il suo luogo dell’anima; la chiusura del sipario la riporta, giustamente, nei panni di Giulia, ma con le vene sature di adrenalina. Solo allora avverte l’impegno anche fisico che mette in ogni suo ruolo.
Al Teatro Massimo di Palermo si calerà nelle vesti del personaggio centrale del quadro La Vucciria di Guttuso, la donna ritratta di spalle, fonte di ispirazione per l’opera che vede Roberto Andò alla regia e il Maestro Marco Betta per la musica.
Le chiedo quanto si sentirà responsabile per questo ruolo, e la risposta mi fa pensare che per alcuni la vita è fatta di traiettorie curve, che ritornano spesso su se stesse a raccogliere coloro che sono arrivati dopo per condurli verso un disegno molto più grande e misterioso. Sua nonna era una pittrice e faceva proprio parte del gruppo ristretto di artisti Siciliani dell’epoca, amici di Guttuso. Un nome ricorrente, quindi, all’interno della sua famiglia. Un ruolo quasi naturale, congeniale, innato. Lei si sente così, appagata e contenta, felice dell’avventura, sicuramente un tantino in tensione per tutto ciò che significherà recitare nella sua città in una produzione così importante, ma serenamente pronta a restituire al pubblico le fattezze di tanto mistero.
Prima di raggiungere Giulia Andò sono passato davanti al teatro, c’era un fermento pazzesco, ho consultato il web, i giornali.
La curiosità intorno allo spettacolo è palpabile, è una vera vigilia, la città si sta preparando. La Vucciria è un simbolo, un po’ l’emblema di Palermo. E mentre la vedo così serena e sorridente su quel suo divano non posso fare a meno di dirmi che al suo posto rischierei l’infarto. E intanto lei, serafica, mi racconta dei prossimi impegni, tra cui, interessantissimo, Clitennestra Millennium, di Vincenzo Pirrotta, erede della tradizione dei cuntisti, con Anna Bonaiuto.
Chi uscirà da questa casa quando andrò via, Giulia Andò o la donna del quadro? Sicuramente Giulia, al ruolo ci penserò qualche minuto prima.
Entro in ascensore con un sorriso stampato in faccia. Vado a cambiarmi; tra poco la rivedrò in scena. Una discendente normanna di Palermo. Chissà che non la scopriremo presto nel ruolo di una regina.