Quando la prima volta è la volta buona
–Signora Insardà è la prima volta che viene da noi?
–Sì! – risposi, totalmente ignara delle conseguenze di quell’innocuo monosillabo.
A quella mia risposta infatti, la rampante resepscionist in carriera si chiuse in se stessa e non diede tregua ai tasti del piccì, accanendosi ostinatamente sul tasto “invio” e digitando così rapidamente che ebbi il dubbio sia che fosse la figlia illegittima di Racmaninof, sia che mi avesse scambiata per un latitante in uscita premio che metteva pressione sulla sua indubbia etica professionale.
Mi convinsi che stava segnalandomi alla polizia, gli indizi erano chiari
Rinsavììl’attimo dopo ricordando che avevo sbagliato macchina e la multa non era per me, e dunque capìì che il problema della resepscionist dal grande pennello Cinghiale al posto delle ciglia era di diversa e sconosciuta natura. Ebbi un attimo di pena per il suo smarrimento, ma prima ancora che mi esibissi in parole di solidarietà e conforto, mi guardò sconfitta e mi disse: scusi ma non riesco a trovarla nell’archivio informatico.
La pena che provavo tramutò automaticamente in quella che avrei voluto infliggerle
Con sommesso sussiego replicai perentoria:
–Signorina forse non mi trova perché essendo la prima volta che vengo da voi non sono ancora registrata. Sempreché non mi stia cercando nel casellario giudiziario.
–Ah è la prima volta? Allora per lei è previsto un coctel di benvenuto. Queste sono le chiavi della sua stanza. Sa già dove andare?
–Eh no, sa: è la prima volta che vengo da voi.
–Ah bene allora per lei c’è anche un coctel di benvenuto.
-Mi lascia ancora un po’ la sua patente?
-Ci vuole fare amicizia?
–Mi lascia ancora un po’ la sua patente?
–Ci vuole fare amicizia o vuole continuare a vedermi almeno in foto finché non mi sistemo in camera e riscendo?
–No, mi serve solo per registrarla, così la prossima volta la trovo subito. Ma gliela restituisco stia tranquilla.
–Non sia così ottimista sulla mia prossima volta da queste parti. E comunque no, la tenga pure, di solito faccio tante copie così se la perdo ne ho subito pronta un’altra.
Non l’avessi mai detto! Qui partì un lungo silenzio trasognato in cui certamente la resepscionist dall’intelletto ammutinato fantasticò su come la sua vita si sarebbe potuta semplificare avendo in possesso tante copie della patente, così da non passare il tempo a denunciarne lo smarrimento ma beatamente sdraiata dentro il suo biuticheis.
Il silenzio si protrasse al punto che dovetti infaustamente interromperlo, ché la mia vescica ancora giovine stava per fare la fine che fanno gli elastici delle mutande quando troppo a lungo giacciono nel secondo cassetto del comò piuttosto che aderenti al loro luogo di destinazione.
–Scusi signorina, avrei urgenza di andare in camera.
–Ah mi scusi, mi sono un attimo distratta. Questa è la chiave. Sa dove andare?
A questa domanda devo dire che risposi con impercettibile spazientimento. Non volevo essere sgarbata ma la vescica aveva iniziato ad urlarmi “soldaut” da oltre tre quarti d’ora.
–No signorina, non lo so signorina, è la prima volta che vengo in questo albergo, signorina.
–Allora c’è un coctel di benvenuto per lei. Ma prima se vuole l’accompagno in camera.
–No grazie, mi dia solo qualche indizio e ci penso da me.
E fu così che ignorando completamente le coordinate della resepscionist tutta acqua di colonia e pusciap, riuscìì ad arrivare in camera prima che l’ultima goccia di saliva ingoiata facesse traboccare il vaso.
Raggiunta che fu la pace col mio corpo, e inaspettatamente in gran forma per gli otto chili persi in quell’unica seduta idrorepellente, organizzai le cose da fare e andai a esigere il tanto meritato coctel.
Ora il punto era riuscire a trovare la strategia ideale per andare al bar senza passare per la resepscion. Temevo che, con la pancia piatta, la tizia tutta tecnologia e fard non mi riconoscesse e pretendesse una nuova registrazione nel loro elenco clienti.
Pregai Dio con talmente tanta energia che il contatore dell’albergo non resse e saltò. Mi sembrò un tristo presagio ma mi stavo sbagliando. Infatti mi affacciai con circospezione nella ol e mi sentìì rinfrancata nello spirito ed esaudita nelle preghiere. Il campo era sgombro: potevo procedere indisturbata verso la meta preposta. E nell’andare iniziai a riflettere sull’efficacia della preghiera appassionata.
–Venga signora Insardà. Venga a bere qualcosa.
No mio Dio no, no! Non era possibile. Mi aveva intercettata di nuovo. Allora chiamai mia sorella, che è anche il mio legale di fiducia, per aver un supporto morale e per chiederle aiuto nel ferale momento in cui la fede di un uomo comincia a vacillare. Da buon avvocato seppe trovare le parole giuste. Mi spiegò che non era colpa di Dio, che ero stata io a formulare male la preghiera, perché gli avevo chiesto solo di non farmela incontrare alla resepscion e non di non farmela incontrare mai più nella vita e che quindi, di fatto, anche nelle preghiere potevano riscontrarsi i famigerati vizi di forma.
Mi trovai di fronte a un bivio: cambiare religione o cambiare avvocato?
Questa volta invece era tutta colpa di Dio. Non è che deve per forza accontentare tutti!
Mi trovai di fronte ad un bivio: cambiare religione o cambiare avvocato? Non ebbi tempo per riflettere ché l’affare dell’attrice mi incuriosì oltre modo.
–Scusi come ha scoperto che sono un’attrice? Sulla patente non c’è mica scritto.
–Ho controllato su internet. Io navigo spesso. Praticamente sempre. Mi sembrava di conoscerla e ho controllato. Quindi stasera fa lo spettacolo?! Mi spiace da morire!
–Ch’io faccia lo spettacolo?
–No, che sono impegnata a zumba e non posso venire. Non lo può spostare?
–Cioè non ho capito: secondo lei io dovrei spostare lo spettacolo?
–Magari! Se lo potesse fare alle 15.00 di domani io sarei liberissima.
Il desiderio di delinquere divenne irrefrenabile. Sentivo lo scup della D’Urso mordermi le calcagna. Rimasi per un attimo in silenzio a pensare. Dovetti fare una qualche riflessione risolutiva perché mi sfuggì una frase del tipo: adesso basta, ci devo parlare!
–Con quelli del teatro? – domandò speranzosa la barbigherl.
Devo prima informarmi se va bene così o se è necessario fornirle il passaporto egiziano.
Io credo che le sue sinapsi funzionanti a intermittenza, di tutto il mio discorso abbiano colto solo tre parole: attrice, Pomeriggio cinque e collegamento in studio, perché dopo la mia delirante filippica mi chiese una foto insieme, l’autografo, la mia patente per ricordo e mi assicurò che avrebbe testimoniato in mio favore davanti alle telecamere, sempre dopo aver sistemato trucco e parrucco s’intende, nel nuovo processo mediatico all’ipotesi di reato che stava per prendere corpo.