Ragazzo, non metterci (troppo) la faccia
“Metterci la faccia” è considerato in linea di massima un atto lodevole. Si potrebbe dire che il senso di questa espressione indichi che qualcuno, per qualche motivo, stia mettendo in gioco la propria persona e con essa anche la propria immagine (non sempre si fanno entrambe le cose). Indubbiamente però, al di là delle intenzioni, c’è un aspetto narcisistico in tutto questo. “Eccolo qua, è arrivato il criticone di turno a cui non va mai bene niente e sono tutti delle merde”, un attimo! Per me chi si espone per qualcosa in cui crede ha tutto il diritto di godersi quella piccola parte di narcisismo che pur lo muove verso una certa direzione.
Quello che mi fa riflettere è più che altro la generale deriva narcisistica della società 2.0, quella dei social network e dei selfie per capirci. Insomma, la mia impressione – e penso non solo la mia – è che le facce siano diventate anche troppe in proporzione alle idee, e che si assista a un numero sempre più grande di persone che fanno le cose più per protagonismo che per passione. Ripeto, non amo dividere il mondo in bianco e nero, per me in ogni situazione inscrivibile in questo discorso c’è una quota di pura passione e una di autocompiacimento. Il tutto sta nelle proporzioni.
Chi da sempre va controcorrente rispetto a tutto questo protagonismo sono i Daft Punk. I due Dj francesi fin dagli inizi della loro carriera hanno sempre indossato gli inconfondibili caschi. Né in Tv né ai concerti si sono mai fatti vedere a volto scoperto, mai, e addirittura neanche parlano (vedi la scorsa premiazione ai Grammy). Perché? La spiegazione ufficiale sui caschi, quella loro, è la seguente: “Ci fu un incidente nel nostro studio. Stavamo lavorando con il sampler ed esattamente alle 9.09 del 9 settembre 1999, esplose. Quando riprendemmo conoscenza, ci accorgemmo che eravamo diventati dei robot“. Un’altra spiegazione, facilmente intuibile, vuole che questa sia una scelta di marketing (e se lo è direi che funziona bene).
Marketing? No, non può essere solo quello. Per viverla così devi essere veramente l’uomo più fottutamente innamorato della musica sulla faccia della terra
Solo l’amore per la musica per me spiega una cosa del genere, solo l’intento di mantenere pura la propria arte, di tenerla separata dalla propria persona. Per quale motivo penso sia giusto così? Perché l’arte, perdonate la volgarità, non è la nostra puttana. Semmai noi siamo i suoi gigolò, noi siamo al suo servizio e non il contrario. Noi siamo, se siamo fortunati, il mezzo attraverso cui ella sceglie di manifestarsi. Per me è come se la loro scelta urlasse “Hey, fregatene di chi siamo, di cosa pensiamo, di come spendiamo i nostri soldi e di chi ci portiamo a letto. Ascolta la nostra musica”. Questa cosa mi fa letteralmente impazzire, e tranne nei casi – molti a dire il vero – in cui il significato della musica di un artista è strettamente legato alla sua vita e alle sue idee lo ritengo un principio universalmente auspicabile.
Sapete, anche io come la gran parte dei bambini sono cresciuto con i supereroi. Da piccolo pensavo che l’avere un’identità segreta servisse a preservare la loro vita privata, i loro cari. Crescendo poi – e leggendo V per Vendetta di Alan Moore – ho cambiato idea. Oggi penso che se indossano una maschera è perché ciò che rappresentano è qualcosa che va oltre la vita di una singola persona. Rappresentano un’idea, e le idee, a differenza delle persone, non possono morire. I Daft Punk sono i miei eroi moderni, e i Daft Punk sono immortali.