L’equazione del figlio unico
Non ho mai amato troppo i numeri, ma ho scoperto ben presto che essere figlio unico implica un’equazione matematica abbastanza antipatica. Infatti, averefratelli : indipendenza = figliounico : viziato.
Sono cresciuta con questa lettera scarlatta appuntata sul petto, come se la condizione di figlia unica fosse una mia colpa. Ma perché la gente non pensa prima di ruttare minchiate a random? Perché lo fanno, e anche piuttosto spesso. E così il mio percorso su questa terra è cominciato con un neo, un segno, un tratto distintivo, un difetto congenito: non avere fratelli.
Per questo motivo mi sono dovuta beccare un epiteto non richiesto: Elisabetta = viziata. Ma che bel corredo, tessuto, lavato e stirato dai migliori filosofi benpensanti. Ora, dico, chi vi da il diritto di asserire queste cose? No, perché poi una bambina ci soffre. Mi son sempre sentita in dovere di non piangere quando ne avevo voglia, di non pretendere quello che mi spettava, di non dire quella mezza parola in più per non essere giudicata.
Un esempio? Ne ho una sportina piena. Il no arrivava ancora prima che il mio cervello avesse maturato l’idea di una richiesta
Dovevo sentirmi in colpa perché potevo avere la colazione a letto, e solo perché ero figlia unica, ma i figli con fratelli a cui i genitori regalano macchine, moto e perfino posti di lavoro no, quelli non sono viziati, quelli hanno fratelli!
Poco importa che mi sia sempre data da fare per mantenermi sia agli studi che per togliermi qualche sfizio, poco importa se non ho mai accettato nemmeno diecimila lire dai miei. Poco importa se il motorino e la macchina me li sono pagati col mio lavoro. Quello che importa è che sono figlia unica e i figli unici devono per forza essere viziati, come il sole deve sorgere al mattino, come la Madonna deve essere vergine, come se ti fai le pippe diventi cieco.
E la cosa peggiore è che pure mia madre si è sentita in dovere di dimostrare a tutto il mondo che no, non ero viziata, non più dei miei compagni di scuola che avevano fratelli o sorelle. E così tiè, il no preventivo prima che, non si sa mai, chiedessi con troppa insistenza un giocattolo. Arrivava dritto dritto dalla sua bocca alla mia faccia, senza passare dal via e senza pescare dal mucchietto delle probabilità.
Il no arrivava ancora prima che il mio cervello avesse maturato l’idea di una richiesta, perché mia madre mi conosceva bene, le bastava vedere una luce diversa dal solito nel mio sguardo. E allora ecco, No! Ho scoperto ben presto che essere figlio unico implica un’equazione matematica abbastanza antipatica
E non solo, non azzardarti ad abbracciare tua madre in pubblico, non farti baciare, perché quei due grammi di affetto in più valgono la frase fatidica, più un ulteriore non sarà mai indipendente, rimarrà attaccata alla gonna della madre anche da grande, in omaggio, giusto per arrivare a fare un chilo, come dal macellaio, avete presente? Signora mi è venuto 990 grammi, facciamo un chilo? Si, certo, fa pure, che sarà mai.
Del resto, se figlio unico è un’equazione, l’intelligenza di molte persone è la radice quadrata di un numero primo: solo, come il figlio unico.