La schiuma del cappuccino
La schiuma del cappuccino è una faccenda seria. Il fatto che la prendiate in considerazione dice molto di voi. Nel bene e nel male.
Non deve essere né troppo liquida, praticamente un tutt’uno con il caffellatte, né gonfia d’aria, così da occupare praticamente l’intera tazza. Cremosa è l’ideale, ma soprattutto: la schiuma deve esserci. E’ credenza comune che il cappuccino si consumi solo al bar. Con tutte le limitazioni dell’espressione credenza comune.
Qui però partono i distinguo. Come quello fra chi ha le risorse fisiche – e mentali, soprattutto – per uscire di casa a stomaco vuoto e chi proprio non ce la fa. Io la prima cosa a cui penso quando apro gli occhi, prima ancora di decidere come vestirmi (e credetemi, non è una questione irrilevante per me), è che cosa di buono metterò sotto i denti nel successivo quarto d’ora. Giusto per non farvi annoiare nella retorica rituale, no, non faccio colazione in pigiama. Nuda (?!), vi starete chiedendo? Perché se ti sta tanto a cuore la tua mise (non abbiatemene male, non è mia intenzione darmi arie da poliglotta, è solo l’unico termine che sintetizzi: abbigliamento, trucco, parrucco e accessori), e al tempo stesso hai un limite massimo di quindici minuti tra l’apertura degli occhi e quella della bocca, beh, sappi che il tempo è tiranno. E invece no: il richiamo della colazione è così seducente da farmi fare – in dieci minuti – doccia, allestimento di una me presentabile e dignitoso rifacimento del mio letto (giusto per sfatare altre banali fantasticherie: il letto me lo rifaccio ogni mattina e non appartengo alla scuola di pensiero secondo la quale si può dormire benissimo anche senza). Altri cinque per mettere insieme il mangiare e il bere. E siamo a quindici. Voilà.
Ma, c’è da dire, sono anche una persona accondiscendente, almeno con chi mi sta a cuore. Il che, è innegabile, mi rende un tantino opportunista, ma nel senso più umano del termine. Mia sorella nemmeno me lo chiede (quasi più) di fare colazione al bar: sa che odio l’over-15, sa che non mi piacciono i posti in cui il cappuccino è in realtà un caffè lungo macchiato, sa che tutti gli avventori del locale mi guarderebbero perché inzuppo il cornetto o al suo posto chiedo addirittura una fetta di torta. E specialmente: è ben consapevole che il mio limite di tolleranza al lavaggio denti post-pasto è ancora più basso di 15 minuti, motivo per cui, dopo aver mangiato e fumato la sigaretta, vengono in maniera lineare lo spazzolino, il dentifricio e il filo interdentale.
La mia migliore amica snobba la colazione al bar tanto quanto me. Mia madre ha un range di tolleranza persino minore del mio, visto che al mattino mangia ancora in pigiama. Tuttavia, poniamo il caso che un’amica o un amico che non vedo mai e che non hanno molto tempo a disposizione mi invitino fuori a colazione. Ovviamente qualche volta posso permettermi di sviare, proponendo come alternativa un aperitivo o un caffè, ma non con tutti funziona. Ci sono quelli proprio fissati con la colazione (al bar). E allora, per non affogare la mia socialità nel catino di latte schiumato che al mattino di solito preparo a casa mia, uno sforzo mi tocca farlo.
E’ così che, stoicamente, affronto lo strazio di fare colazione fuori.
Partiamo dall’ordinazione. C’è chi va a colpo sicuro, e prende sempre le stesse cose: espresso e cornetto liscio grazie, cappuccio e brioche alla crema, spremuta e la solita treccina all’uvetta… E c’è chi, come me, deve valutare attentamente prima di scegliere. Cappuccino o latte macchiato, a seconda – lo si scopre, con un po’ di fortuna e arguzia, guardando i tavoli intorno – che il bar sia più o meno generoso. Se le tazze sono quelle del servizio da tè con cui giocavo da bambina, beh, meglio il latte macchiato. Sperando che non lo servano in quei bicchieri alti e lunghi, che per bere devi essere un po’ giraffa e un po’ fenicottero. Ma veniamo alla parte solida: brioche, frolla, muffin o torta. L’importante è che ne valga la pena. Che sia, insomma, meglio di ciò che avrei potuto addentare in tutta calma e tranquillità a casa, dove, ribadisco, il latte con la schiuma me lo faccio anche da sola e in maniera ineccepibile, grazie all’aggeggio dell’Ikea che mi sono procurata anni addietro.
Ecco, dopo esserci persi, ritroviamoci. Il focus era la schiuma del cappuccino: un tempo invidiavo quelli che bevono il cappuccio senza toccarla, come si sorseggia una tazza di tè. Che è un po’ come non leccare il coperchio di alluminio dello yogurt. O come avanzare il cornicione della pizza. Cose, cioè, che ti fanno dire: al soggetto non importa molto dell’oggetto con cui ha a che fare.
E, ammettiamolo, oggi è molto chic la gente distratta davanti al cibo, tutta mente e niente pancia. Pare un mondo di asceti questo. Come sia scoppiata poi la moda del #foodporn su Instagram e Facebook, infatti, non me lo so spiegare. Forse dire che è bello ciò che in realtà importa più che sia buono. Forse.
In ogni caso, io la schiuma del cappuccino la affronto con il cucchiaio. E non tocco il cornetto finché non ho anche il cappuccio, perché prima si mangia – esatto, si mangia – la schiuma, poi si beve un sorso dell’ex cappuccino, ormai così divenuto caffellatte, e quindi s’inzuppa la brioche o il simil-dolce.
E, per quanto triviale possa sembrarvi, mentre consumo la mia colazione al bar non ho lo sguardo perso di quel manager che butta giù il caffè e addenta in due morsi la brioche al bancone. No, per me è una questione più impegnativa. Sono concentrata. E’ un’esperienza a cui attribuisco importanza. E non perché creda sacralmente all’assoluta necessità di fare colazione, di interrompere le ore di digiuno notturno.
Se in casa ho solo due biscotti secchi e niente latte o yogurt, per intenderci, la colazione potrei anche saltarla, o decidermi a farla al bar di mia iniziativa.
Il punto è un altro: anche nel mangiare, che è una delle tante azioni banalmente fondamentali, non vado alla cieca. Non mi accontento. Pretendo il massimo.
E così vi ho fatti perdere di nuovo. Perché, dite la verità, credevate che queste righe terminassero con un elogio alla praticità di una colazione casareccia a latte (senza schiuma), pane e marmellata. Eravate già pronti a sentirvi propinare una lectio contro la snobistica raffinatezza nei consumi. E invece vi trovate una rompiscatole che si spaccia per esteta del cibo e inzuppa la pagina di erotismo papillare.
E lo fa non come la pioggia con le buste dimenticate nella cassetta della posta, ma come chi si gode appieno i momenti, immergendo a piccoli pezzi il cornetto nel cappuccino.