Nel Reich di Steve
Nel Reich di Steve
Venezia, 2014
“Steve Reich è il rappresentante carismatico di un modo nuovo e originale di intendere la musica accolto con entusiasmo da un vastissimo pubblico e che tanta influenza ha esercitato sulle giovani generazioni non solo americane”
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=1E4Bjt_zVJc]
La dis-uguaglianza
Tutte le volte che tocca
la stazione uguaglianza
la locomotiva si schianta.
Volano cocci corpi parti.
E’ l’abuso della parola libertà
che ci ha tatuato sul braccio
la parola coraggio.
Di città in città,
disperati diversi dispersi,
si va si sta si muore
per voi che clonate
l’inferno migliore.Anna Bertini, 2011.
Testo ispirato a Different Trains di Steve Reich,
versione Kronos Quartet.
Different Trains è il primo pezzo di Steve Reich che ho sentito in vita mia.
La composizione, una delle più famose dell’autore americano, è di fatto una storia narrata in musica: la melodia è fatta derivare da una frase registrata ed è portata avanti da uno strumento in modo che questo diventi una “voce” ( viola per le donne, violoncello per gli uomini ). Le registrazioni delle melodie strumentali si mescolano a rumori di treni, sirene, pezzi di dialoghi.
La storia è divisa in tre sezioni : 1. America prima della guerra, 2. Europa durante la guerra, 3. Dopo la guerra, e si basa sull’esperienza e la riflessione personale dell’autore.
Steve al tempo della seconda guerra mondiale è un ragazzo che viaggia spesso in treno tra New York e Los Angeles per spostarsi tra le abitazioni dei due genitori, separati. E’ di origini ebree.
Questi viaggi si imprimono nella sua memoria come esperienza uditiva, rumori, frasi e come figure, volti di viaggiatori.
Molti anni dopo Steve Reich è un musicista che guarda all’innovazione e alla sperimentazione.
Si documenta sulla storia delle persecuzioni ebraiche in Europa. Legge dei treni dei deportati che viaggiano attraverso l’Europa come quelli di un viaggio normale, e accompagnano invece i passeggeri verso la morte. Si accorge che questi viaggi avvengono negli stessi anni in cui lui viaggiava tra New York e Los Angeles per andare a trovare i genitori. Sa che è ebreo.
Se invece di nascere in America, fosse nato in Europa, forse, anche lui avrebbe fatto l’altro viaggio, uno solo, verso la morte.
Si ricorda i rumori dei treni, i dialoghi spezzati di viaggiatori che si separano, e pensa che in Europa, insieme a quelli c’erano di sottofondo i vagiti sinistri della guerra, sirene, bombe. E che quelle frasi non erano dette da persone che si sarebbero poi riviste, ma da condannati e sopravvissuti di una grande tragedia umana.
– TORINO 1994.
Nella vita gli incontri si fanno in molti modi. A volte nelle persone ci vai a sbattere d’improvviso.
Altre volte ti avvicini per gradi, magari fino a poco prima non sai nemmeno che certe persone esistono, poi ne senti parlare, quasi per caso. Ti capita che sei in un caffè, fanno un nome al tavolo accanto, ti arrivano stralci di un discorso, ti incuriosisci. E qualche giorno dopo quel nome entra nella tua vita, e tu dici cavolo, era quello di cui parlavano al caffè.
Per quanto riguarda Steve Reich avvenne che prima ancora di sapere chi fosse, mi fecero ascoltare una sua composizione. Era qualcosa su cui dovevamo lavorare. Non era davvero una roba che sentivi tutti i giorni alla radio, ma neppure una come me, che lavorava e studiava spaziando tra universi musicali diversi, era mai incappata prima in quelle sonorità. Si chiamava Different Trains.
Era davvero “different”. Ti poteva anche infastidire, volendo ti potevi chiedere, se non eri assetata di musica sperimentale e avanguardie, ma chi cavolo l’ascolta una roba così. Ripetitiva, quelle voci storpiate, rumori stridenti, singhiozzi.
Ce la fece sentire Dario Voltolini, lo scrittore. Era un laboratorio sulla progressione narrativa, una di quelle tipiche esperienze che facevi con Dario. Partivi, prima c’era la sorpresa di usare materiali così nuovi, poi ti pareva di sapere cosa stavi facendo; iniziavi a ordinare le idee, ad approfondire, e prima o poi ti perdevi. Ed era proprio quel perdersi che generava in te qualcosa. Ecco, quel materiale su cui avevi lavorato entrava intanto nella tua vita. Ci si faceva un posto, diventava substrato, e tu sapevi che avrebbe germogliato qualcosa, al momento giusto.
– NEW YORK, 1998.
Qualche anno dopo il primo ascolto, non solo conoscevo bene il repertorio di Steve Reich, ma di fatto mi trovavo coinvolta direttamente nel suo entourage musicale.
Dovevo promuovere in Italia la trascrizione per flauto di un pezzo per violino di Philip Glass, nell’esecuzione di un famoso flautista italiano.
Steve e Philip, insieme a Terry Riley ed altri, erano oramai le figure di riferimento del minimalismo musicale, nato negli anni ’70 e di fatto una delle esperienze compositive più importanti della contemporaneità.
Così un giorno, insieme a uno dei manager americani di Philip Glass, mi trovai invitata alla vernice di un famoso artista dell’avanguardia off del Greenwich Village.
Nello scantinato che ospitava la mostra, il pittore ci accoglieva tra cavalletti tinteggiati di bianco che in due file, mettevano in mostra i suoi quadri. Nello spazio tra queste era apparecchiato un gigantesco tavolo. Dopo averci fatto sfilare tra le opere grandi e variopinte dell’artista, sua moglie, una opulenta madame che si vantava di indossare abiti (dal gusto piuttosto trash) disegnati dallo stesso marito, ci faceva accomodare al posto assegnatoci a tavola.
Fu circa a metà serata che Steve Reich entrò nel locale. Molto semplice, il viso da ragazzo americano mai cresciuto, il cappello con la tesa, si fermò a parlare con un po’ di gente prima di occupare il suo posto a tavola.
Verso la fine della serata in un piccolo gruppo ci avvicinammo a lui; ci fu presentato e parlammo di ciò che stava componendo. Si trattava di Know What is Above You, un pezzo per voci e percussioni. Inoltre era in fase di registrazione per un sestetto e ci concesse di fargli visita il giorno successivo negli studi della Nonesuch; una delle sale di registrazione era dedicata al suo repertorio e lui stesso l’aveva attrezzata con tutti i materiali e le strumentazioni di cui aveva bisogno.
La visita fu breve, ma molto interessante. Il grado di immersione di Steve nella musica era totale. Mi sembrò di assistere a una cerimonia, e tra i suoni e le poche parole scambiate con lui, rimase come cifra di quell’incontro il religioso silenzio delle pause e degli attacchi, il filo sottile che si dipanava dagli strumenti e ci avvolgeva in quell’ambiente ovattato e intimo.
Così, l’avvicinamento a Reich uomo e musicista, si completò nel tempo, tra Europa e America, come nel viaggio di quei treni diversi che avevo conosciuto prima del loro autore. Tutto si sarebbe poi fissato nella scrittura di un testo ispirato alla sua musica, che portava in sé la sorpresa di un incontro con il suo destino già stabilito da qualche parte che è bello non conoscere.