Padri e figli
Da quando sono padre mi domando se c’è un modo giusto di esserlo, di interpretare un ruolo che richiede troppe virtù in un colpo solo, che è roba da annichilire un patriarca sotto il peso delle responsabilità.
Rappresentare la regola e la legge, amministrare la giustizia domestica in un battito di ciglia, elargire premi e infliggere punizioni, dirimere le lotte tra fratelli, riducendo le questioni tra Abele e Caino a tragicomiche schermaglie familiari, tirar fuori conigli dai cilindri, incedere carponi con le ginocchia gonfie, fare sorprese e regali e l’attimo dopo imporre embarghi durissimi sui videogiochi; essere dolci e giocherelloni e il minuto appresso integerrimi ed inflessibili: un po’ pugno di ferro, un po’ guanto di velluto.
Far rinvenire sorprese entusiasmanti la mattina di Natale, e tonnellate di leccornie quando viene la Befana, rinunciando alla paternità del dono a favor della magia del suo ritrovamento. Essere la fatina dei denti e l’incomprensibile oppressore, che non ti farà giocare se non avrai finito i compiti; la voce che si teme quando la si è fatta grossa.
Indicare rette vie e fornire buoni esempi, a dispetto di quanto ogni evidenza dimostri, ad ogni sussulto dell’autocoscienza, che in quanto a rettitudine ed esemplarità, uno abbia da invidiare a molti adulti. Forgiare a piccoli passi un uomo da un bambino, non sapendo all’inizio neanche da dove incominciare. Senza che nessuno t’insegni. Senza che nessuno ti dica quando sia il momento di spiegare, quando quello d’imporre il rispetto e l’obbedienza, quando quello di consentire il contraddittorio, quando quello di mollare un ceffone, quando quello di mandare affanculo il moccioso che prenderà il tuo posto nel mondo, che porta il tuo cognome sui documenti e tanta parte di te nel corpo e, speri, nel cuore. Quel moccioso che vale ogni sacrificio, perché deve venir su dannatamente migliore di te.
Devi saperlo da te. Pare che non s’insegni ma che s’impari soltanto, per errori e tentativi, da padre autodidatta allo sbaraglio, incoscientemente alle prese con una creatura inerme – ma mai troppo – a far da inconsapevole cavia.
E mentre tanto insegni e tanto dai, un giorno molto presto ti ritrovi ad apprendere qualcosa da lui, che ti svela una funzione che il tuo smartphone non sospettavi avesse, che ti sorprende con nozioni minutissime sulla riproduzione dei dinosauri ovovivipari.
Così si palesano le prime distanze, e cominci a guardare nel figlio l’altrui, a vedere in lui non tanto un figlio quanto un uomo in miniatura, con le proprie passioni, le proprie idee, i propri convincimenti, le proprie inclinazioni. Indipendenti da te, da te che lo credevi vuoto contenitore da riempire con le tue canzoni preferite, le tue passeggiate preferite, la tua visione del mondo e la tua lettura della vita: chi starò allevando? come la penserà da grande? amerà allevare piccioni? sarà gay? voterà Berlusconi? tiferà per la Juve?
E tu che un attimo prima pensavi di costruire un altro te stesso con un decimo degli anni tuoi, memento perfetto verso l’eternità, degno del perpetuarsi immutato delle amebe, dei batteri, dei protozoi. Che invidia, i protozoi, beati loro, sempre uguali a se stessi: neanche i papà ameba hanno di questi problemi.
E’ proprio di padri e figli che Claudio Bisio ci parla, nella tappa napoletana di Father and Son, al Teatro Bellini fino al primo febbraio, rivisitando con acuta ironia i testi di Michele Serra (Gli sdraiati, Breviario comico), e raccontando delle aspettative deluse dei padri e delle distanze incolmabili che talvolta, in questi tempi moderni forse più che mai, paiono dividerli dai figli, rendendoli incomprensibili gli uni agli altri; padri ancorati ai loro archetipi prototipi, figli proiettati verso socialità ignote e sconosciute, sdraiati e iperconnessi, nativi digitali depositari di valori nuovi, diversi, incomplementari.
Ma in fondo al cuore, si vedrà, in un barlume di fede e d’incerta speranza, forse ancora simili, se non uguali.
Al Teatro Bellini, da non perdere, fino al 1 febbraio
Father and son
ispirato a Gli Sdraiati e Breviario comico di Michele Serra
con Claudio Bisio
violino Laura Masotto; chitarra Marco Bianchi (notevolissimi!, ndA)Info e biglietti qui
Cat Stevens, Father and Son
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=vdMPuMeTxzY]