Nella Cucina Di Mohammed
Il caldo marocchino mi si asciuga sulla fronte, luccicando sotto i raggi del sole, e io continuo a guardare in avanti, verso la casupola gialla di terriccio e mattoncini che ai miei occhi diventa sempre più distinguibile.
Siete mai stati in una cucina marocchina? Non parlo di un ristorante che faccia cucina marocchina, ma di una vera e propria cucina privata dove le famiglie marocchine si riuniscono per preparare pranzi e cene, gustandoseli poi spaparanzati nei loro saloni foderati di tappeti dove, tra grida e schiamazzi, ci si siede tutti in terra armati di pezzi di pane da utilizzare come posate.
Mohammed, il ragazzo che mi ospita, è un mago nel preparare la specialità del giorno, che è poi la specialità di tutti i giorni da queste parti: il famoso Tajine.
Cominciamo a pelare cipolle e pomodori che poi buttiamo nel tipico pentolone in terracotta, con il coperchio che ha l’aspetto di un camino allungato dai colori vivaci. Dopo una spolverata di zafferano e altre spezie, il tutto viene fatto bollire con otto belle cosce di pollo, il quale doveva essere talmente grosso che, dico io, avranno dovuto accopparlo con una mitraglietta rudimentale ricaricandola più volte in corso d’opera.
Lasciamo il Tajine sul fuoco lento, Mohammed dice che non bisogna avere fretta, di rilassarsi e godersi la fine del pomeriggio pregustando già la cena.
La famiglia di Mohammed è qualcosa di più unico che raro: il nonno, un vecchio Matusalemme ancora tutto arzillo e agile col barbone bianco terminante in un ricciolo spettinato; il padre e la madre, classica coppia araba da turbante in testa, baffoni neri e lunghe tuniche morbidissime al tatto; la sorella di appena tre anni, piccola ma già furbissima, gli occhi svegli e vigili su quello che la circonda, allegra e pestifera come di solito sono i bambini a quell’età. Mohammed, il ragazzo che mi ospita, è un mago nel preparare la specialità del giorno, che è poi la specialità di tutti i giorni da queste parti: il famoso Tajine.
Finalmente gli ultimi sbuffi dal pentolone in terracotta si acquietano, ed è venuto il momento per il nostro Tajine. Ci sediamo tutti in cerchio sui cuscini e tappeti e, non appena scoperchiata la pentola, ognuno comincia a servirsi direttamente da essa, inzuppando una mollica di pane nel sugo speziato che ribolle ancora, tirando su anche pezzi di verdura e di pollo che gocciolano impregnati. Il sapore è forte ma appacifica i sensi, come un velo esotico così sottile da stuzzicare il palato appena, senza essere invasivo ma lasciando comunque un segno indelebile del suo passaggio.
L’intera famiglia dialoga molto durante la cena, e ogni loro atto è misurato e calibrato con le parole. Parlano e mangiano seguendo un ordine preciso, che si ripete in serie, partendo dal nonno Matusalemme e terminando con Nahima (la mamma di Mohamed) e la sua piccola sorellina. E’ come se seguissero un canovaccio prestabilito, e di colpo mi viene da ridere: a guardarli tutti insieme sembrano dei burattini regolati nelle loro mosse da fili invisibili e intrecciati in un miscuglio che è tanto disordinato quanto armonico.
Uno sguardo alle stelle – che dal cortile di Mohammed rischiarano luminose le dune del deserto marocchino – è quello che ci vuole prima di andare a dormire. Specie se si ha la pancia piena di Tajine.