Le case delle vecchie signore
Il periodo migliore è l’inverno. Ma, badate bene, se davvero volete sbirciare dentro dovete essere mattutini. E non solo: non tutti i quartieri vanno bene. Inutile cercare tra caseggiati dai colori sfavillanti di moda negli anni ottanta. E non perdete il vostro tempo nel centro città, dove forse si poteva trovare qualcosa un tempo, ma oggi in quelle viuzze storte nidificano solamente studenti, forestieri e irriducibili dello scomodo ma bello.
Inverno, si. E’ una questione di luce. Massì, lo so, d’inverno la luce è poca e distribuita in alcune ore che, tra l’altro, non sono certo le prime del mattino. Ma noi non siamo a vedere una piazza, non sono i chiaroscuri plasmati da un geniale scalpello ad attirare i nostri occhi. Qui parliamo di interni, appartamenti di palazzoni grandi e bigi posizionati rigorosamente a piano terra. E’ ora che andiate. Il gatto si stira sul davanzale, la coda accarezza il freddo vetro e la schiena si inarca davanti alla cucina in formica.
Chissà perché nei condomini anni trenta e dopoguerra al piano terra c’è sempre una donna anziana. Zitella o vedova, non ci è dato sapere. Anzi, se focalizziamo oltre le orecchie del gatto ecco una foto in bianco e nero di un bel giovine tutta brillantina e sguardo magnetico. Se ne sta sopra il frigorifero, tra un paio di suppellettili, una Madonna incorniciata e un calendario del 1996. Guarda verso il basso con la fierezza di un John Wayne e il fascino ipnotico di Gary Cooper. Comunque sola, la Signora. Una figlia dall’altra parte della città, un’amica all’ospizio e l’altra un paio di condomini più avanti. Un gatto come tramite con l’esterno e la spesa, quanta fatica fare la spesa ora che le botteghe hanno ceduto il passo ai supermercati. E per quanto questi sorgano come funghi nel tessuto urbano, sempre a casa di Dio rimangono. Del bel giovane che ne è stato? E’ rimasto giovane per sempre. Si sa, gli eroi sono tutti giovani e belli. E crepano alla svelta.
Se siete fortunati, ma vi avviso, è alquanto raro, vi può capitare di trovare la luce accesa anche in salotto. Il salotto è l’ambiente più inutile dell’intera casa. Nessuno ci mette piede dai tempi del compianto John Wayne. Se ne sta sopra il frigorifero, tra un paio di suppellettili, una Madonna incorniciata e un calendario del 1996. Guarda verso il basso con la fierezza di un John Wayne e il fascino ipnotico di Gary Cooper.
Stop. John Wayne non ha più potuto contribuire. Uh, di solito, tra il bisnonno in carta di gelatina ingiallita e la figlia ventenne con tanto di permanente, trovano spazio pure un paio di vedute agresti, un panorama bucolico e la riproduzione di una Duchessa, se ve ne è stata una nella vostra città. Altrimenti avanti Savoia. Che poi nel 1946 in casa votarono tutti Repubblica, ma Umberto l’era tanto un bel fantino.
Da un momento all’altro la finestra si aprirà e una manciata di briciole di pane andranno a nutrire i passerotti, con buona pace dei coinquilini.
Io vado. Passo ogni mattina davanti alla casa della Sig.ra Meletti. Che strano, ho pensato un giorno, sul citofono c’è scritto solamente Meletti. Doveva essere davvero giovane il povero John Wayne per non essere riuscito a comparire sulle targhette. Così affaccendato nei miei discorsi non ho fatto attenzione ai movimenti del gatto, alla finestra aperta e alle briciole. Eccomi a tu per tu con la Sig.ra Meletti. Che gli spiego ora? Apro bocca e già mi affido alla mia proverbiale arte dell’improvvisare quando vedo un sorriso dipanarsi tra quelle rughe scavate nella pelle candida e dura. Alzo il braccio in un timido saluto e pronuncio sillabe senza fiato. La Sig.ra Meletti sorride ancora e fa cenno di si con la testa, io con la mia ne seguo l’andamento e quindi giro i tacchi e vado. Con garbo e il braccio ancora alzato, s’intende. Il pensiero di essere stato sgarbato mi fa tornare sui miei passi. La Sig.ra Meletti osserva e sorride. Saluta con la mano e solo allora mi ricordo di avere ancora il braccio alzato.
Quanta solitudine, Sig.ra Meletti. Forse le ho ricordato John Wayne. Mi guardo le scarpe. Lo faccio sempre quando la tristezza mi assale. No, Sig.ra Meletti, non posso essere lui, non ho la stessa intensità di sguardo, il magnetismo degli occhi.
E poi sono già campato anche troppo.