Una corsa lunghissima
Correva sempre, correva nella convinzione che facesse bene al cuore, abbattesse il colesterolo, sturasse le arterie, favorisse la circolazione superficiale così da sostenere anche l’aspetto con una pelle sana e compatta. E durante le orrende sudate, anche un po’ ansimanti, non mancavano gli integratori con quei bei colori intensi ma anche un po’ minacciosi. Dopo scattava non la dieta – diffidava chiunque dal definirla tale – ma il regime alimentare.
Regime, parola che, come in politica, sottintende una tirannia, una lesione della libertà incluso spesso l’obbligo peggiore. Quello di non peccare.
Marta correva, riempiva tutti gli spazi con il sudore che faceva da brodo di coltura al resto della vita. Non aveva mai fatto agonismo, né mai la cosa l’aveva interessata. Questa mania l’aveva catturata quando aveva cominciato a temere che avrebbe potuto diventare grassa, sebbene non lo fosse, né che ci fosse pericolo.
In questa sua dimensione ovviamente non c’era spazio per altri o per altro. Il lavoro piuttosto libero di consulente di sistemi informatici, corredato da una situazione famigliare di benessere, producevano appunto gli spazi. Si era così procurata un corpo asciutto, non bellissimo ma appetitoso, se è consentito uno spunto alimentare. Il viso gradevole sovrastava questa struttura soda ma sempre femminile. Ma nessuno aveva modo di fare proprie le risultanze di tanto impegno fisico. Non ci si poteva attaccare neanche al carattere, perché era difficile scoprirlo, né ad altro: c’era una impossibilità materiale di incontri. E poi, inutile negarlo, molte delle relazioni nascono sui luoghi di lavoro o in occasione sociali, che lei non aveva, o in situazioni più o meno peccaminose, mangiate, bevute, nottate insonni e scollacciate. Una donna sola? Difficile dirlo, forse più solitaria che sola.
Ma nessuno aveva modo di fare proprie le risultanze di tanto impegno fisico.
Finché lo incontrò. Correva, quando vide il laccio libero della scarpa. Si fermò per legarlo, ma un attimo dopo qualcuno si era già inginocchiato per farlo al suo posto. Ebbe un sussulto, ma un sorriso la placò: “Non tema, sono una persona per bene e non lego le scarpe a tutte le belle ragazze che incontro. L’ho vista tante volte e non volevo perdere l’occasione di conoscerla. Mi perdona?“. Fu perdonato.
Fu anche contenta di scoprire che l’uomo che poi sposò correva solo per incontrarla. E che grazie a lui le corse di lei si erano ridotte al minimo, l’indispensabile contro il sovrappeso. Quando il marito si crogiolava sulle sue forme appena arrotondate, ripensava a quanto aveva corso per liberare quelle endorfine che ora si procurava in un lampo di benessere. Si convinse che la felicità non è un metodo né uno scopo. Né una scelta. E’ solo la sorte di essere felici.