Lavare l’anima al fiume
E’ la sua compagna, la sua guardiana, la sua perpetua, sua figlia
Chi sono poi i santi? Coloro che non hanno quella zona d’ombra là, dove sta tutta la bruttura del proprio essere?
I santi di tutti i giorni, i santi senza aureole e calendari, portano forse le loro brutture al fiume, davanti a tutti, e le lavano con una ghiaia bianca e ruvida, semplice, come fa lui adesso?
Penso che il mio cane se non verrà distratto ancora dalla natura verrà richiamato dall’odore intenso dell’uomo, andrà ad abbaiargli in faccia come se fosse un animale uscito dalla tana, ringhierà a lui e poi vedrà l’oca, e andrà a scacciarla dal suo cesto: vieni a farti prendere da me sciocca oca, cosa fai là sulla bicicletta, sei un animale da cortile tu e io voglio darti la caccia. Penso tutte queste cose, guardo la barba folta e disordinata dell’uomo, mi viene da pensare che è bella, che gli uomini se non si rasano hanno una faccia barbuta, coperta di peli, come la sua. Tutti i maschi. Che siamo molto più selvaggi, tutti, di come ci vogliamo sentire.
Lento come un cerimoniale, lento come la pazienza, lento come talvolta è lenta la vita, lento come tanto tanto tempo.
Procedo verso il cane, e il tempo è di nuovo veloce, come talvolta è veloce la vita, come lo è troppo spesso la mia, di vita. La Gnossienne numero quattro è sparita dalla testa, e in lontananza ulula una sirena.