Quando il dramma non è solo di Scecspir
No no, io con lei proprio non m’annoio. E no che non m’annoio e non m’annoio (la so tutta, meglio che mi fermi qua).
Io: “Vorresti, orsù, visitare la dimora di colei che fu dell’Amor il più alto canto? Vuoi vedere, orsù, la casa di Giulietta?”
Lei: “Prenoto un fine settimana a Londra?”
Io: “E perché mai? Anche sì ma, orsù, che c’entra?”
Lei: “La casa di Giulietta me la fai vedere su Gugol?”
Io: “Ma è qui a Verona!”
Lei: “L’hanno portata qua?”
(Non replicare Insardà, non replicare!)
“Sì, il mese scorso c’era Vangog e questo mese la casa di Giulietta. Non possiamo perdercela”
“Allora occhei, andiamo”
(Te l’avevo detto di non replicare!)
E nel mentre ci si avviava verso i deputati luoghi, di quando in quando intercettavo, con un’acutezza lincea, qualche solido spigolo di palazzi d’epoca a cui poter nobilmente sfrantecare una delle due tempie datemi in dotazione, per aver avuto l’infelice idea di imbarcarmi in un percorso che mi avrebbe fatto sviluppare l’orticaria da svampitezza-formato-famiglia tutta concentrata nelle doppie punte della mia immancabile amica biondo-platino.
Mi teneva a braccetto in realtà, quindi i tentativi di fuga per compiere il gesto di espiazione risultavano innocui strattonamenti: lei credeva che io avessi voglia di giocare ad acchiapparella e quindi, per non sfuggirle e poter vincere facile, mi teneva saldamente ancorata ai suoi bicipiti, esercitando una forza di gravità talmente grave, ma talmente grave, praticamente in condizioni disperate, che alla fine della giornata mi si lussò la spalla e dovetti portare il tutore per i venti giorni a seguire.
Orsù! Dicevo che l’idea di farla finita mi aveva alquanto distratta dalla destinazione alla quale eravamo dirette, tanto che venne la sera e, con lei, l’inesorabile chiusura della casa nostra meta. La beffa fu anche maggiore quando ci accorgemmo che la chiusura del cancello era appena avvenuta, tanto che c’era ancora della gente dentro a ultimare il giro turistico, ragion per cui se avessi strattonato meno ce l’avremmo certamente fatta a portare a termine quell’agonia, per poi finalmemte dissolverci ognuno verso i nostri grami destini. E soprattutto avrei evitato i venti giorni di prognosi.
esercitò una forza di gravità talmente grave, ma talmente grave, praticamente in condizioni disperate, che alla fine della giornata mi si lussò la spalla
Lei: “No ti prego Ligabue no. L’ho già visto la scorsa estate”
Io: “La scorsa estate? E dove?”
Lei: “All’Olimpico”
Io: “All’Olimpico? Hanno fatto una mostra allo stadio?”
Lei: “Una mostra? Un concerto”
Io: “Sandra, Ligabue è un pittore. Parlo di Antonio”
Lei: “Annalisa, Ligabue è un cantante, parlo di Luciano. Tu forse ti confondi con Cima-bue, ma non preoccuparti, succede, all’inizio mi confondevo anche io”
Tacqui.
A lungo tacqui.
Già che conoscesse Cima-bue, che mi nominò ben scandito per evitare confusioni ulteriori; ma in testa un solo pensiero mi governò: “ma se Maometto non va alla montagna, perché lo spigolo non viene a me?”. Quando ripresi a favellar borbottai: “Ho bisogno di un Malocs”
Lei: “Malocs… Malocs… Malocs… Il nome non mi è nuovo. È un pittore? Devo averlo studiato, ma non mi ricordo bene”
Io: “Sì, lui! Se mi accompagni in una farmacia prendiamo il foglietto illustrativo e diamo uno sguardo al programma degli eventi”
Sentii che il peggio non solo si stava approssimando, ma sarebbe stato devastante per l’impossibilità di produrre immantinente un antidoto al dramma che non fosse una badilata sulle gengive. Ma non potevo farlo. Non c’erano cantieri in giro, dove la trovavo una pala?
Con un piglio frutto del mio più dichiarato istinto di protezione, e per scongiurare dunque il pernottamento in quel della scaligera cittadina, mi affacciai al cancello della casa, indicai una statua e dissi con fare sbrigativo e fraudolento: “comunque qui c’è poco da vedere, si fa presto”. E con trasportato slancio lirico, e con una sorpresa come se la vedessi per la prima volta, dissi: “Quella laggiù è Giulietta”.
ma se Maometto non va alla montagna, perché lo spigolo non viene a me?
Io: “Che vuol dire come la conosco!? La conosco, è Giulietta!”
Lei: “Ma dici la signora con la maglietta verde?”
Io: “Ma no, dico la statua a cui tutti toccano la tetta”
Lei: “E perché gliela toccano?”
Io: “Da queste parti corre voce che porti bene!”
Lei: “Oddio, e fanno la stessa cosa anche ai contributi di Ligabue?”
Io: “Ai contributi?”
Lei: “E sì… dai… insomma… ai contributi… capisciammè!…” disse con sorriso sornione e sguardo lascivo, puntandomi le pudenda
(Non replicare Insardà, non replicare!)
Orsù! Dunque: ai contributi non so cosa fanno, magari ci calcolano una pensione d’oro; ma agli attributi invece sì! Fanno esattamente quello che fanno a Giulietta. E’ vero però che le strette più salde spesso gli causano orchiti irreversibili, ma è anche vero che si tratta addirittura di una cura strategica e preventiva che tende a mantenergli quella voce cavernosa e baritonale.
(Te l’avevo detto di non replicare!)
Tacque!
A lungo tacque!
Socchiuse l’occhio a elaborare le informazioni ricevute e comporre un ragionamento a seguire.
Quando riprese a favellar disse laconica: “non ho capito, mi sono persa!”
Io: “Allora facciamo una cosa: io vado a cercarti! Non puoi esserti allontanata molto”.
Risocchiuse l’occhio a elaborare l’informazione e comporre una replica.
Lei: “Vengo con te!”
Io: “Meglio di no. Dividiamoci, così ci sbrighiamo prima”
Risocchiuse ancora l’occhio a elaborare l’informazione e risolvere l’enigma.
Lei: “Occhei. Allora io ti aspetto qui. Ma, orsù, dove hai detto che vai esattamente?”
La parola “orsù” detta da lei mi stimolò un pensiero: mi domandai se ancora fosse in voga quella strana abitudine di allevare leoni e lasciarli andare nell’arena a giocare ad acchiapparella con le bionde ossigenate, ma poi non perseverai su questo improvviso desiderio e replicai complice: “A prendere il programma e gli orari del Malocs, così la mostra del mese prossimo non ce la perdiamo di sicuro”.
E da quella volta non rividi mai più Verona.