P come Petra. Poesia della Vita
Non stringe la macchina fotografica tra le mani, eppure i grandi occhi scuri vagano per la stanza nell’intento di scovare l’armonia delle cose. Petra ama la Luce. E come suggerisce il nome, è forte come una roccia.
“Tutti abbiamo una luce dentro, parlo della scintilla divina che è in ciascuno di noi, che reputiamo preziosa e tentiamo di proteggere dallo sguardo altrui. Ma stai certa che nessuno è in grado di nasconderla a lungo. Io sono lì ad aspettare. E quando appare scatto”.
Dice che è una questione di intuito, ma anche di perseveranza. L’avvicinamento ad un forma espressiva come la fotografia avviene in modo naturale, quasi istintuale. E’ come svegliarsi al mattino dopo un lungo sonno. Ma imparare a vedere, quello è tutt’altra cosa. Ci vuole il coraggio di lasciar agire l’inconscio, bisogna imparare a fidarsi.
“La prima volta che sono salita a cavallo mi è stato chiesto di farlo senza briglie, senza la possibilità di interferire con la volontà dell’animale”. Quando utilizzi la tecnica della monta indiana – quella praticata dai nativi d’America, senza l’uso di strumenti di coercizione – su ex animali da corsa che per problemi caratteriali sarebbero destinati al macello, devi usare tutta la consapevolezza di cui sei capace per liberarti dai feromoni negativi ed agire con autorevolezza.
Devi entrare in sintonia col cavallo e saperlo dirigere, devi imparare a meditare e a respirare. Ma soprattutto a riconoscerti l’importanza che ti devi. “Per rapportarti in modo sano col cavallo non devi avere problemi di ego o di stima. Devi avere fiducia in te stesso. Lo stesso vale per la vita”.
Sulla monta indiana, la “tecnica del cuore”, Petra ci ha fatto un progetto fotografico. Ma non solo su questo. “Il mio percorso è fatto anche della relazione burrascosa con una città che dopo anni di incomprensioni finalmente mi rappresenta: Berlino”. Perché all’inizio il grigiore della capitale tedesca (che le fa da casa ormai da quindici anni) poco si adattava all’energia di un’italiana temperamentvoll, un’italiana troppo briosa.
Poi però la città è cambiata: il cielo si è schiarito, i ragazzini hanno iniziato a ridere per strada e i muri, anche quelli dentro di lei, poco alla volta sono caduti. “Tutti vanno in ritiro spirituale in India. Io il mio ritiro spirituale l’ho fatto qui!” e scoppia in una risata. Ora medita di raccontare le ferite di questa città come fossero le sue, imprimendo sulla pellicola immagini del muro, dei lembi ricuciti di una città lacerata dalla crudeltà umana.
“Non c’è niente che mi interessi di più. Continuare questa ricerca personale, realizzarmi professionalmente, fino a raggiungere la sorgente.”
Ma la fotografia è anche e soprattutto il mezzo d’elezione per trasmettere l’entusiasmo per la vita. “Ho imparato a comunicare con la macchina fotografica da adolescente. Quando la società iniziava a costringermi nei limiti di forme mentis predeterminate ed io invece morivo dalla voglia di far capire agli altri che il mondo lo vedevo a modo mio. La macchina fotografica mi ha inoltre spogliata dei pregiudizi che avevo verso me stessa e mi ha aiutata ad esser fiera della donna che sono oggi”.
E poi c’è la poesia della vita. Che si svela agli occhi al tramonto, quando sui tetti di Rocinha, la favela forse più nota di tutta Rio de Janeiro, si alzano gli aquiloni da 1 Real. “La favela ti coccola, la gente ti conosce, sa chi sei. Nel poco non ha paura di condividere. La più grande lezione che la favela ti insegna è come si possa esser felici con quasi niente”. E come sia importante prendersi cura degli altri. L’immagine è quella di un uomo, stagliata sui colori vivaci dei murales carioca, che regge una gabbietta in legno e osserva preoccupato l’uccellino che sta dentro. “Não canta! Non canta!”. Il gran problema, qui, non è la precarietà o la mancanza di certezze economiche, quanto che l’uccellino non abbia imparato a cantare. Ciò che vive ha sempre la precedenza su ciò che è statico e morto. Allora l’uomo inizia a fischiare con tutta l’aria che ha nei polmoni nella speranza che la creatura inizi a fischiare con lui.
“Non si può rimanere insensibili al fascino di certe cose. Ma avere una macchina fotografica non vuol dire essere fotografi, come avere gli occhi non vuol dire saper vedere. Questo mondo è per pochi”. Guarda i passanti che corrono affannati verso chissà quale meta, e continua: “fotografare é come pregare, aspettare che arrivi l’attimo della meraviglia. Rendere grazie alla vita che si manifesta nei modi più svariati. Quando l’otturatore si apre, luce accade”.
Le chiedo ora dove va, risponde che va a casa. “Non c’è niente che mi interessi di più. Continuare questa ricerca personale, realizzarmi professionalmente, fino a raggiungere la sorgente. Quando la troverò non mancherà più nulla: chi trova l’acqua non teme più la sete”.
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