Coetzee e il pollo alla “che ne so io”
“Come si chiama questa ricetta che stai facendo, Leyla?”
“Che ne so io, mà”
“Bene, allora si chiama pollo alla che ne so io!”
E’ con questa battuta che mi ha fatto sorridere, l’altra sera, mia madre. E in effetti il “che ne so io” ci sta: una delle spezie che ho usato non ho idea di come si chiami esattamente. In Libano, nel mercato di Byblos dove l’ho comprata, la chiamano “kapsi“, ma internet non mi viene in aiuto per spiegarvi cosa sia, né io ne so di più. Mi sono lasciata guidare dall’aroma che esalava, c’est tout.
Allora vi racconto proprio questa ricetta: sovracosce di pollo alla che ne so io.
Ingredienti:
– Sovracosce di pollo
– Kapsi (a questo punto potete sostituirla con una spezia misteriosa a piacere che potete comprare in uno dei mercatini etnici o dei negozi bangla che spopolano, o semplicemente sostituire con curry, curcuma o… niente).
– Anacardi, pistacchi, arachidi, mandorle e quant’altro
– Succo e scorza di arancio
– Pangrattato
– Vino bianco
– Aglio
– Rosmarino
– Sale, pepe, olio
Per la crema di verdura:
– Spinaci, zucca (vanno bene anche altre verdure)
– Cipolla, peperoncino, olio
– Pinoli, uvetta, miele, brodo vegetale, un goccio di latte, curry
Per decorare: carote tagliate con il pelapatate
Procedimento:
Lasciate marinare per qualche ora il pollo con l’aglio, l’olio, il rosmarino, il succo di arancio, un po’ di scorza d’arancia grattugiata e il kapsi. Disponete in una teglia abbondantemente oliata il pollo con il suo intingolo e la frutta secca, cospargete con poco pangrattato ed infornate a 200°. Io ho preferito togliere la pelle, così da poter mangiare il pollo con più facilità, ma ognuno può seguire i suoi gusti. Se c’è la pelle, magari evitate di ricoprirla di pangrattato se poi non va mangiata.
Mentre il pollo cuoce, preparate la crema di verdure come segue: fate un soffritto di cipolla e peperoncino, aggiungere i pinoli, le verdure lessate, mescolate e fate cuocere qualche minuto. Dopodiché, versate a poco a poco il brodo e l’uvetta con il latte caldo o il brodo nel quale l’abbiamo lasciata a mollo per qualche minuto. Spolverizzate con del curry, mescolate nuovamente e passate nel mixer.
Quando il pollo è quasi cotto, unite qualche fettina di carota tagliata con il pelapatate: diventerà croccante.
Disponete nel piatto la crema di verdure e, sopra, il pollo.
La citazione.
Dunque: immaginate un bambino troppo attaccato a qualcosa. E’ il bambino che racconta Coetzee nel capitolo ventesimo de “L’infanzia di Gesù”.
“Non sarebbe ora di buttare via quel pasticcio?” suggerisce.
“Non è un pasticcio – dice il bambino – sono cose che conservo”.
Dà una spinta col piede allo scatolone. “Ciarpame. Non puoi conservare tutto ciò in cui ti imbatti”.
“E’ il mio museo” dice il bambino.
“Una montagna di roba vecchia non è un museo. Le cose devono avere un qualche valore per trovare posto al museo”.
“Cos’è il valore?”
“Se le cose hanno un valore significa che in generale vengono apprezzate, riconosciute come cose di valore. Una vecchia tazza rotta non ha valore. Nessuno la apprezza”.
“Io la apprezzo. E’ il mio museo, non il tuo.”
Potrei proseguire per ore, perché di minuscoli aneddoti come questo è pieno il libro. Un libro misterioso su cui inizialmente ho scommesso, influenzata da quel richiamo religioso inserito nel titolo. Invece, dopo qualche pagina, mi ha catturata ed ha smontato le mie aspettative, mi ha confusa, affascinata, inchiodata a letto con il naso fra le pagine anche quando il sonno voleva avere la meglio. Un bambino curioso che non fa che rimandare al lettore il paradosso di una complessità elementare e spiazzante. Un pensiero maturissimo ridotto ai minimi termini e messo in bocca ad un bambino. Una storia su cui non posso ancora esprimermi pienamente, perché mi manca qualche pagina prima di arrivare alla conclusione. Eppure mi sento già di poterlo consigliare, magari mentre cucinate un Pollo alla Che Ne So Io.