Alzati. Anzi, rialzati
Alzati. Anzi, rialzati. L’hai fatto mille volte, ma stamattina è più difficile. Il suono della sveglia ha la stessa piacevolezza di una marcia funebre. E’ come una telefonata, nel cuore della notte, in cui ti avvertono che è morto qualcuno.
Invece è arrivato il mattino. E devi andare avanti.
Forse, adesso che è passato mezzogiorno, sembra un po’ meno insopportabile. La luce artificiale di un’aula scolastica o di una stanza d’ufficio. Il freddo cattivello che fa gocciolare il naso. La consapevolezza che le feste sono davvero finite.
Potrebbe essere il 7 gennaio, come effettivamente è, ma anche il 15 agosto. O il 3 giugno. Se qualcosa di grande e importante è finito, ti devi rialzare. Lo devi fare come hai sempre fatto. Anche se ti verrebbe da dire che questa volta tocca a qualcun’altro. Che non è il tuo turno per soffrire ancora.
La ruota gira per tutti, dicono. Ma nessuno può dire dove si ferma e per quanto tempo. Con te, magari, ha scelto la posizione più scomoda e pericolosa, quella a testa in giù. Quella dove si è costretti a guardare il mondo al contrario.
Qualcosa si è strappato. La carta che avvolgeva un regalo di Natale sbagliato, per esempio. Il vestito che, dopo qualche eccesso a tavola, non entra più. O l’anima tenera che un giorno ha raccolto per caso un seme.
L’ha coltivato. Ne è nata una piantina che ha chiamato Amore. Curarla è stato emozionante, ma anche faticoso. E al sacrificio di aspettare il momento giusto per potarla e innaffiarla si è accostata l’euforia del primo fiore e poi il gusto inaspettato dei suoi frutti. A volte dolci, altre aciduli.
E poi è arrivato quel giorno che effettivamente non si può trovare sul calendario. Quando un bambino insolente l’ha calpestata, magari mentre correva spensierato dietro a un pallone. O una grandinata inattesa ne ha bucato le foglie. Perché tu, anima tenera, in quel momento non eri pronta a metterla al riparo. O perché la piantina non era abbastanza forte per sbrigarsela da sola, una volta tanto. E così adesso la innaffi ancora, ma con le lacrime. La poti ancora, ma con un bisturi di rimorsi. E la preghi di non morire.
Questa mattina puoi mettere una sciarpa morbida e pesante che ti ripari dal freddo. Profumare il fazzoletto che ti sarà indispensabile per il naso e per gli occhi. Stringere forte un pensiero felice. E spegnere quella sveglia.
Alzati. Anzi, rialzati. Sarà l’unico modo per non restare a testa in giù.