Egon Schiele e la sua canzone
Davanti a me i quadri di Egon Schiele. Ognuno di loro è un po’ come un pugno, un calcio, o un graffio, la carezza di una mano che non riconosci, un fuoco che arde senza riscaldare. Non lo so, io che spesso tengo le cose in testa solo per pochi attimi e le risolvo con un “sì” o con un “no”, sono in difficoltà. La sintesi: ho difficoltà a fare sintesi delle emozioni che mi danno questi dipinti, troppe e molto diverse tra loro; ma forse è proprio questo ad avermi suggerito che valesse la pena parlarne: se qualcosa ti confonde ti ha colpito, e per me se ti ha colpito è arte.
Schiele era austriaco, nacque nel 1890 in una stazione ferroviaria a Tulln, vicino Vienna; fu allievo di Gustav Klimt e le sue circa tremila creazioni (tra dipinti, acquerelli e disegni) le produsse tutte in giovinezza, essendo morto a soli 28 anni. I suoi soggetti preferiti erano ritratti di corpi femminili nudi, ma trovo la sua arte talmente diretta e le sue opere talmente comunicative da non sentire il bisogno di aggiungere altro, del resto a volte ho l’impressione che alle persone venga sottratta la libertà di guardare un quadro da ignorante e arrivare magari alla stessa esperienza di comprensione di un osservatore esperto. Inoltre non sono un esperto e vi rimando a letture di persone molto più accreditate di me a parlarne.
Quello voglio fare però è farvi ascoltare la meravigliosa canzone che mi ha fatto avvicinare a questo artista: si chiama “Schiele, lei, me” ed è una delle mie canzoni preferite dei Marlene Kuntz, contenuta in uno dei loro dischi a mio parere più belli (Senza Peso, 2003).
Lo spessore culturale di Cristiano Godano, autore di tutti i testi, non lo si vede solo nei riferimenti letterari all’interno nelle canzoni ma traspare nel suo stesso stile di scrittura. Per me è sorprendente osservare questo perfetto connubio di musica, poesia e pittura. In un tempo in cui la ricerca degli artisti si concentra molto su possibili nuovi format, sempre più multidisciplinari, cercando di unire teatro, musica, pittura, cinematografia e quant’altro (a volte per creare un qualcosa che sia nuovo più che per reificare una visione o un sentimento che hanno dentro) questa è una canzone che cerca di racchiudere l’animo di un pittore, riuscendoci secondo me benissimo e dimostrando che l’arte può guardare a se stessa non soltanto con la pretesa – spesso vana – di “reinventarsi” ma aggiungendo sfumature parallele ad un discorso già di per sé perfetto nella sua incompletezza.
Non trovo conclusioni migliori di una frase in forma di domanda tratta da un’altra delle loro canzoni e che trovo illuminante (come solo le domande possono essere, e non le risposte) oltre che attinente:
“è meglio dire che l’arte è
generosa fontana
o ritenere per giusto che
sia come una spugna,
che assorbe e s’imbeve di tutte le cose
con la curiosità e l’estasi della bontà?”
Marlene Kuntz – Negli abissi fra i palpiti