Le discese ardite e poi le risalite
Ieri sono uscito di casa e ho dato un’occhiata verso il parcheggio, dove mi attendevi sempre. Ma tu non c’eri. Ho cercato, aspettato, ma niente. Allora ho chiesto alle altre, ma non sapevano nulla. E’ un po’ che non si vede, ha detto una. Un’altra è stata in silenzio, ma l’espressione diceva tutto, troppo. Quelle smorfie di chi non conosce il film e la sceneggiatura può anche cambiare, ma il soggetto, quello rimane sempre uguale.
Allora sono andato in garage, dove ti rifugiavi a volte. Un vuoto enorme tra quelle pareti bianche. Sono pochi metri quadri, ma senza di te sembrava una fabbrica. Quasi sentivo l’eco della mia voce. Era una cosa tremenda, credimi. Nulla vibrava nel riverbero di quelle parole, all’infuori delle mie viscere. Dove sei?
Quando sono tornato a casa ho visto il tuo peluche sulla scrivania. Si, quello che stava con te giorno e notte, un orsetto vestito da marinaio che aveva scambiato la strada per il mare dei Sargassi. Chissà, forse aveva visto quella vecchia pubblicità dove una barca solcava l’asfalto per fare rifornimento in una stazione di servizio. Ho chiesto pure a lui, ma non mi ha detto nulla. E io stesso non avevo nulla da chiedere. Così siamo rimasti lì, un po’ tristi, un po’ sconsolati. Anche le barche un giorno ti salutano. E addio. Quindi ha sospirato senza aggiungere altro.
Nel bagagliaio ci sono i miei anni più inquieti, uno scatolone di ricordi, i saluti di chi ha condiviso alcuni di questi chilometri.
E così te ne sei andata. Ti avevo insegnato tutte le strade del mondo per far sì che quando fosse arrivato questo momento, perché doveva arrivare, tu avessi saputo dove andare. E io se volessi ti ritroverei, lo sai. Perché io so dove ti piaceva andare, so dove invece ti annoiavi, so dove ti sentivi importante e so dove mi portavi solamente perché io avevo bisogno di trascorrere tempo. Non abbiamo girato, abbiamo vagato. E’ forse l’essenza più pura della mia anima quella di vagare senza meta. Con il cuore, la mente, gli occhi. Come ho fatto con te.
Quando leggerai queste righe ne avrai a male, lo so. Hai sempre odiato la tristezza. Piantala, sei patetico, mi hai più volte detto. E che ci devo fare? Fottiti. Grazie, sei molto comprensiva. E invece comprensiva lo eri. Solo non ti piaceva assecondarmi, o meglio, non in tutto e per tutto. Facciamo ‘sto giro, dai, andiamo in qualche paese dimenticato da Cristo, mi sta bene, ma non ti lagnare sempre.
E poi lo sai che io non sono una persona triste. Sono un po’ romantico, dai. Nel senso buono, poi, niente smancerie. Una roba tipo Sturm und Drang, sai? No, eh? E fa niente. Allora vorrei salutarti con questa canzone. Perché il meglio noi lo abbiamo dato sui monti. Quando si sale si fatica e quando si scende sembra che il fondo valle non arrivi mai. Come sugli appennini, insomma.
Si parla anche di mare. Il marinaio è contento. Mica ci ha capito mai niente, lui, di discese ardite. E di risalite. Il mare è pressoché piatto, dice. Che poi non è manco vero. Chissà se ha mai fatto il marinaio come dice.
A proposito, ti ho lasciato un cd inserito. Nel bagagliaio invece ci sono i miei anni più inquieti, uno scatolone di ricordi, i saluti di chi ha condiviso alcuni di questi quasi trecentomila chilometri. La prossima volta chiederò al venditore un’auto. Una semplice e fottutissima auto. Lui mi chiederà se va tutto bene e mi suggerirà che per una casa sarebbe meglio andare all’agenzia immobiliare dietro l’angolo e io gli risponderò che di compagni di viaggio me ne è bastato uno.
Buon viaggio, ovunque tu vada. Che poi sarà sempre con me. Io non mollo mai niente. Te l’ho detto anche poche settimane fa in uno dei nostri ultimi viaggi. Tu mi hai risposto lo so e fai bene, la resistenza prima o poi premia. Pure la comprensione. E questo l’ha capito pure il marinaio. Ed era felice di sentirmelo dire.
P.S.: Evita la neve, non è mai stato il tuo forte. I love U.