Pensieri da non fare alla vigilia di Natale
Non vorrei farvi pesare troppo l’onere che mi è stato inflitto. Vi ricordo solo che oggi è la vigilia di Natale. E che io dovrei, effettivamente, scrivere qualcosa sul Natale. Ma, vi sarete accorti, è da circa un mese che quella parola risuona nelle orecchie, nelle bocche, nei nasi e nelle mutande di tutti. In più, se forse mi va bene, leggerete questo pezzo prima di mettervi a tavola, con la pancia ancora vuota e di sfuggita, perché nel frattempo i parenti puntuali come orologi svizzeri avranno già iniziato a suonare alla porta. E quindi non farete caso al mio vagheggiare in cerca di un argomento. Di un oggetto. Di un’emozione. Che non siano così scontati come tutti quelli che si associano al Natale.
Ma mettete che mi vada peggio. Che il pezzo lo leggiate a sera, dopo il cenone. Con le pance piene e mezzi ciucchi. Con il pensiero disturbante che tra poco dovrete uscire al freddo per cantare Tu scendi dalle stelle insieme al parentado, nella Chiesa dove è impossibile parcheggiare proprio vicino all’entrata, perché tutti si ostinano ad andare a quella messa di mezzanotte. Che, insomma, siate già sarcastici e pungenti per motivi non biasimabili.
Come la mettiamo?
Mica posso parlarvi della psicologia pandoro-panettone. Vi verrebbe da star male o, al contrario vi riempireste la bocca di acquolina, tanto che qualche parente medico, una volta ritornati in soggiorno, inizierebbe a preoccuparsi che soffriate di scialorrea. Ma così non scoprireste mai le due tipologie. E vi rimarrebbe il dubbio. Mettiamo che siate tipi da pandoro. Ecco, tra qualche ora ripeterete ignari la solita scenetta: “A me una fetta piccola piccola. Senza crema al mascarpone, per carità!“. Poi, mentre il resto della tavolata si agita parlando del piano di stabilità o del cugino partito per il Turbekstan e di come ci si dovrà sbattere per riportare la sua salma in Italia, voi, quatti quatti, taglierete altre cinque o sei fettine, minuscole, per carità, del dolce veronese. E pulirete un cucchiaio dall’intingolo dell’arrosto con il tovagliolo bianco di stoffa (quando vostra madre inveirà dalla cucina darete la colpa al cuginetto, carogne!) per affondarlo nella ciotola di crema al mascarpone.
Se invece siete panettonari, non solo prendete sempre con l’auto i panettoni gialli in cemento e poi date la colpa allo stordito dietro di voi che non ha frenato (siete carogne anche voi, che pensate?), ma pretenderete una fetta, la più grossa di tutte, della pagnotta milanese. Con i canditi. Con l’uvetta. E con la glassa mandorlata sopra. Se proprio avanza, anche un po’ di crema al mascarpone. Poi vi annoierete, allontanandovi dalla tavola per coricarvi sul divano a guardare “Natale sulla trentaquattresima strada“, fingendo un’indigestione che convincerà le vostre mamme, nonne e zie a non farvi uscire al freddo per la messa di mezzanotte.
D’altronde, non posso nemmeno parlarvi della differenza tra chi preferisce il torrone morbido o quello duro. Sarebbe troppo scontato asserire sul fatto che il morbido lo si compra per la nonna che non ha più denti robusti, ma poi alla fine lo mangiano tutti. Tutti tranne la nonna, che vuole dimostrare che i suoi denti funzionano ancora benissimo. E il nonno, ovviamente, che non può sentirsi da meno. E per questa ragione il dentista vi manda sempre un bel pacco di Natale (solo con torroni duri, s’intende).
Che dire poi del momento magico, che sono certa vorrete risparmiarvi. L’apertura dei regali sotto l’albero. A seconda delle opzioni i regali possono essere disposti sotto l’abete, se questo è alto e simile a quelli che si vedono nei negozi. O tutt’attorno, se l’albero è più della specie: reparto ospedaliero. Nel primo caso ad allestirlo sarà stata una persona dalla mentalità tendenzialmente ossessiva, che avrà acquistato gli addobbi in saldo esattamente a gennaio del 2014 e che avrà pensato da settembre il punto esatto in cui collocare l’abete. E da ottobre il miglior raggio di inclinazione dei rami. Nel secondo caso, invece, o l’albero ha una vita che si conteggia in ore e non in giorni (dalla mattina del 24 al pomeriggio del 25) o è l’idea radical chic di comporre l’alberello con materiale di riciclo. Pena poi trovarci sotto un iPhone 6 o un paio di Manolo Blahnik. E poi ci sarà chi riesce a storcere un sorriso davanti al paio di babbucce, il quinto in cinque anni, che gli hanno regalato gli zii. E chi si sentirà sollevato nello scoprire che la maglietta in pieno stile Britney Spears in concerto non è della sua taglia. Si può sempre cambiare. Sperando che il negozio non sia tutto sul genere. A voi, lo sanno tutti, piace leggere. E allora perché non una bella biografia di Paolo VI?
Il presepe è un tasto dolente. Lo so. E per questo ve lo cito e basta. L’unica differenza, sappiatelo, è tra quello stilizzato: Giuseppe, Maria, Gesù, bue e asinello, tutti ammucchiati in una capannetta poco più grande di una scatola di fiammiferi. L’altra opzione è il presepe napoletano. Artistico, suggestivo, con tanto di ruscello da cui scorre l’acqua su e giù per il mulino, di muschio che cade puntualmente e che quindi richiede paletta e scopina sempre a portata di mano. Ma specialmente: le pecorelle. Le pecorelle sono quasi meglio della tombola post-abbuffata. Avete presente il divertimento nel giocarci a domino. Giù una, giù tutte.