Monuments men
La sera scorsa, data questa estate incerta e birichina, l’ho trascorsa sul mio comodo divano, davanti ad un bel film: Monuments Men.
Film scritto e diretto da George Clooney proprio quest’anno. Già da qualche tempo volevo vederlo, mi incuriosiva la trama e la regia. La pellicola è una libera trasposizione cinematografica del libro omonimo “Monuments Men. Eroi alleati, ladri nazisti e la più grande caccia al tesoro della storia” scritto da Robert M. Edsel nel 2009.
Basato sulla storia vera del più grande saccheggio di opere d’arte della storia. Racconta le avventure di un improbabile plotone, reclutato dall’esercito americano durante la Seconda Guerra Mondiale e spedito in Germania per salvare capolavori artistici dalle mani dei Nazisti e restituirli ai legittimi proprietari, logicamente soprattutto famiglie ebree.
Con le opere d’arte intrappolate dietro le linee nemiche e l’esercito tedesco incaricato di distruggere qualsiasi cosa in seguito alla caduta del Reich, sette direttori di musei, curatori e storici dell’arte – molto più a loro agio con un Michelangelo che con un fucile in mano – riusciranno a portare a termine la missione. Nei panni dei Monuments Men, come vennero chiamati, in una lotta contro il tempo per impedire la distruzione di anni e anni di cultura, questi uomini rischieranno le loro vite per proteggere e difendere i loro ideali culturali.
Un cast stellare: Matt Damon, Bill Murray, John Goodman, Jean Dujardin, Bob Balaban, Hugh Bonneville e Cate Blanchett.
Una volta riunitisi, dopo una sottospecie di addestramento, i Monuments Men intuiscono che alcune miniere del territorio tedesco, segnate su una mappa sottratta ai nazisti, potrebbero essere proprio i luoghi segreti nei quali sono state nascoste le opere d’arte. Ed in effetti fu proprio così. Moltissimi dipinti, statue, pale d’altare, furono in questo modo ritrovate. Ad esempio, una su tutte, che nel film ha anche un significato speciale, che non svelo per chi volesse vedere il film, è la Madonna di Bruges di Michelangelo.
Si tratta di una scultura di marmo conservata nella Chiesa di Nostra Signora a Bruges, in Belgio, alta 128 cm e databile intorno al 1503-1505.
La composizione del gruppo è centrata sulla postura perfettamente in asse della Vergine, e questo sembra sottolineato dalle pieghe simmetriche, sul petto, della veste, dal manto che copre la testa di Maria quasi fosse una cupola e la fisionomia classicheggiante del volto che, con la fissità dello sguardo, pensoso e triste, tradisce un profondo presentimento di dolore, quasi a prevedere il dramma della Passione; sul fermaglio della veste, sul petto, è ricavato un Cherubino, simbolo della “intelligenza chiara”, del “dono della Profezia”.
Michelangelo inserisce la figura del Bambino tra le ginocchia della madre e il suo moto determina un guizzo dinamico alla composizione di per sé statica, ma appare chiuso o avvolto parzialmente dalle pieghe della veste materna, il che conduce al tema poetico del Bambino che esce dal corpo materno, offerto al mondo; ma anche il Bambino sembra provare la stessa emozione della Madre, perciò si offre e si ritrae allo stesso tempo, cercando protezione nel grembo materno.
Seppure non credo che sia una delle pellicole più avvincenti in cui mi sono imbattuta negli ultimi anni, posso comunque affermare che la storia ha un suo fascino, specialmente se si pensa che il più è accaduto davvero. Per l’importanza che l’arte ha avuto nel passato ed ha tutt’oggi, questi uomini raccontati nel libro e nel film, meritano una grande riconoscenza.