Io, pesce d’abisso
Cosa è questa cosa che viola la tranquillità delle profondità marine? E anche la mia, io pesce d’abisso? Non capisco, sono solo un pesce che l’abisso lo abita, schivo e un po’ alieno anche per i miei simili, ma l’esperienza mi ha insegnato che spesso quello che non capisco è riconducibile a quegli strani esseri di superficie che pensano di poter dominare ovunque, pure qui. Le leggende dicono che tali creature hanno provato perfino a conquistare il cielo, il vento e l’oceano profondo che sta oltre quelle cose che chiamano stelle.
In mare ci sono arrivati milioni di anni fa. Ma non si sono mai visti nelle profondità in cui io vivo.
Ora osservo questo coso appeso a un filo che scende giù, giusto verso casa mia, dove i terrestri non possono arrivare (almeno credo e spero) e un po’ mi agito.
Devo dire la verità. Io sono un pesce curioso. Qui nell’oscurità ci sto anche bene. C’è silenzio, buio, il giusto freddo. Però un giorno, non so perché, mi sono spinto verso la superficie. Cioè, lo so. Mi chiedevo se era possibile carpire qualcosa di un mondo così diverso dal mio. Un mondo più alieno di me, fatto di luce e azzurro. E oltre il confine liquido che separa l’acqua dall’aria, chissà cosa c’era. Non lo saprò mai, so bene che non sopravviverei fuori dal mio tranquillo abisso. I nostri genitori ce lo insegnano subito, ci tengono al riparo da tutto, più in fondo andiamo più siamo sicuri. Poi certo, troppo oltre non possiamo recarci nemmeno noi. Ci sono luoghi che nessuno conosce, luoghi talmente profondi da essere vicini al cuore del mondo, che non sta a noi abitare.
Di sicuro anche andare verso l’alto non è salutare: la luce di quella cosa misteriosa che chiamano sole, che scalda perfino l’acqua, è mortale per noi.
Tuttavia, lo ripeto, sono curioso. Qualche volta me ne vado in giro pinneggiando pacifico e così ho incontrato altri marini che mi hanno raccontato delle loro vite. Da non crederci, ci sono fra noi anche quelli che possono saltare fuori dall’acqua e respirare aria… delfini, balene, orche. Stranissime creature, autentici mostri.
Come ho detto ci sono leggende, sospese in fondo all’abisso, che riportano di certi esseri, chiamati umani, che pur vivendo sulla terraferma vogliono dominare anche aria e acqua. Degli strani e terrificanti ibridi, che non essendo dotati dei mezzi per fare queste cose se li inventano, sfidando perfino la propria morte.
Ma dove si è visto mai?
L’istinto di sopravvivenza ce lo abbiamo tutti, ci dice di evitare le occasioni di rischio, di salvare le proprie squame in qualsiasi modo: fuggendo i pericoli, divorando il nemico, ingaggiando lotte tremende. Perché queste creature invece i rischi vanno a cercarli?
Una volta ho fatto un tentativo e sono risalito un pochino più del consentito verso la superficie. Ho chiesto al mio amico con la testa trasparente di venire con me, ma lui non se l’è sentita. Temeva di essere troppo visibile, che gli rubassero i pensieri, ed è tornato fra le tenebre di casa nostra. Io invece ho nuotato verso l’alto.
Già quando il mare è diventato azzurro ha cominciato a darmi fastidio, ma ho resistito.
In un turbinio di bolle qualcosa si è mosso, mettendo in fuga i miei coloratissimi simili che abitano a quelle altezze. Ho capito subito che erano loro, le creature umane di superficie. Avevano due arti pinnati e due no, si muovevano goffamente, la loro andatura non somigliava a nessuna dei marini che ho incontrato nelle mie escursioni.
Ammetto che mi hanno spaventato. Sono bruttissimi! Quel loro muoversi così pesantemente, smuovendo l’acqua in modo tale da richiamare i predatori, mi ha indotto a precipitarmi di nuovo nella mia rassicurante dimensione. Sono tornato con il batticuore più giù che potevo, ai limiti del confine proibito, per sfuggirgli. Meno male che non mi hanno visto.
Ora però che vedo questo strano coso appeso a un cavo che si spinge sempre più a fondo, con una luce fastidiosa appresso, sono convinto che sia opera di quelle creature. Tutto ciò che ho trovato di eccentrico nelle mie scorribande è riconducibile agli umani. Scheletri inanimati di oggetti anche enormi, che credevo fossero di pesci, ma che i miei cugini dei piani alti hanno detto essere navi, opere degli uomini. Tanto per fare un esempio. E questo coso che scende con un ronzio mi sa che è fatto della stessa sostanza.
Ok, coso, ti passo vicino e ti guardo fisso in quel tuo strano occhio. Vediamo che succede, se ti spaventi o mi attacchi. Mi vedi? Stai comunicando qualcosa a quelli lassù?
Niente. Non reagisce. Magari glielo dirà quando torna su, alle creature umane, che questa è casa mia. Gli intrusi non sono graditi, qui. Specie se sono così brutti. Questo è un posto per belli e pacifici, come me.