Hai quasi trent’anni se…
Io adoro i social network. E non solo per il gusto che mi dà, in quanto portatrice sana di doppio cromosoma X, il possedere una valvola di sfogo al mio bisogno di vojeurismo. Ma perché hanno preso il posto della televisione, soprattutto per una certa fascia d’età ed estrazione sociale, per identificare gli usi e i costumi dei miei coetanei. In pratica se con i social un po’ ci lavori, molto li hai studiati e puoi, un minimo, “guardarli da fuori”, riesci anche a capire prima del tempo quale, tra i vari link condivisi, ti ritroverai in home un numero di volte superiore al cinque.
Esclusi i gattini e le frasi di Fabio Volo. Tra i miei amici avrò tre persone che pubblicano gattini e frasi di Fabio Volo e io non ne ricevo più gli aggiornamenti (chissà come mai, non so, un problema tecnico). Con tutto il rispetto.
Negli ultimi giorni, sul mio microsistema di riferimento (Facebook), due link hanno fatto il giro del mondo (letteralmente). Il primo: dimmi quale parte del tuo cervello usi di più. Carino, il test, un sacco di domande sfiziose tipo quelle per calcolarti il QI. È venuto fuori che i miei due emisferi lavorano alla pari, contro ogni mia previsione. Forse ho sbagliato qualcosa (vedi voce: problemi di QI?). Il secondo: “Trenta indizi che rivelano che hai quasi trent’anni ”. E siccome sono a ridosso del mio compleanno, mi sento proprio chiamata in causa.
Tempo fa scrissi un articolo che s’intitolava “La voce del cervello”. Sembra un inciso messo qui per il puro gusto sadico di causarvi senso di smarrimento e confusione, ma no, giuro, ora c’arriviamo. In pratica mentre leggiamo o scriviamo si attivano le stesse aree cerebrali di quando ascoltiamo un rumore proveniente dall’esterno. Io ce l’ho molto presente, questa voce, e lo so che sembrerò schizofrenica nel dirvi che la mia non mi aiuta solo a leggere, ma commenta di continuo qualunque cosa mi succeda.
Tipo: leggo una lista di cose che dovrebbe dimostrarmi che ho quasi trent’anni e per tre quarti del tempo lei è lì a dirmi “pfff, ma daii” oppure “sì, ti piacerebbe” oppure “oh, batti il cinque sorella, hai visto quanto siam giovani?”.
La lista parte da: Quando ti chiedono i documenti per verificare l’età la tua prima reazione è: fantastico! A me sta cosa è successa solo a Stoccolma quando dovevo entrare in discoteca e non avevo ventun’anni. In Italia nessuno ti chiede la carta di identità, quando lo fanno è per verificare che la tua carta di credito sia davvero la tua e comunque non la guardano mai sul serio. Diciamo che in realtà il momento più triste è quando ragazzini decenni ti chiamano “Signora” e ti danno del lei. Quello, è quello che ti ammazza, la maledetta e sopravvalutata educazione.
Passa per Al posto di foto di ubriaconi su facebook trovi foto di bambini e neonati. Ce l’ho, ho foto di bambini sulla mia bacheca. Ma sono in netta minoranza rispetto ai fotomontaggi di bambini che tengono in mano una bottiglia di vodka (grazie, amici).
Poi c’è il Sei gasatissimo quando trovi posti a sedere ai concerti: ecco, qui c’è stata una piccola discussione. Perché io dicevo “mi sa che è vero” e la mia vocina mi rispondeva “è vero che il concerto del primo maggio non me lo farei mai più come lo feci a sedici anni. Ma il fatto che io non voglia stare più in piedi a respirare hashish passiva per sei ore, non significa affatto che non voglia farlo per tre ore… il che non mi rende proprio anziana, diciamo più consapevole del significato della parola comfort”. La mia vocina è più pignola di me. E più permalosa, aggiungerei, ora che è distratta.
Quando inizi una frase dicendo “quando ero al liceo” e poi realizzi che sono passati 10 anni. Per questa sottrazione matematica sono ancora in analisi, non ne parliamo.
Insomma continua con altre frasi tipo: Ti viene la mania per le creme solari (ma davvero?!), Sei contento che ci sono celebrità fighe che hanno la tua età e dici c’è ancora speranza (ma che tristezza) e Stai seriamente pensando di prenderti un cane, anzi di fare un bambino, anzi no di prendere un cane (di prendere un bambino, no?).
Che ansia! Quello che mi urta di più, ma davvero, anche quando ne parlo con i miei coetanei, è che sembra d’obbligo avere una scadenza per certe cose. Sembra che “siccome non hai più vent’anni” allora di conseguenza tu debba cambiare. Anche quando non vuoi, non c’è niente che ti obbliga, ce la fai ancora, senza scrupoli di coscienza, a non volere un bambino e a metterti al sole senza protezione.
E non sto parlando di non poter fare sempre le quattro di mattina, perché è ovvio che se devi alzarti alle sette c’è poco da fare le quattro di mattina, parlo di racchiudere tutto in uno schema per forza. In una lista di cose che prendono il posto della trafila di “cellò cellò mi manca” che facevi a 8 anni quando ti scambiavi le figurine Panini.
No. Mi dispiace. La sindrome di Peter Pan è solo un modo che hanno trovato i vecchi dentro per rinominare l’invidia. Lasciatevi campare!
La cosa che mi ha sconvolto perdavvero la devo alla vignetta di Zerocalcare di ieri (Il paradigma del cetriolo): gli ingredienti del BigMac stanno formando la squadra per montare l’hamburger e il piccolo ketchup a un certo punto urla “chi vuole stare in squadra con me metta il dito qua sottoooo”.
Questo sì che è stato un vero amarcord, altroché. Di quelli che ti costringono ancora una volta a sottrarre gli anni che sono passati da quando era la frase di rito che starnazzavi in giro come una gallina.
Così mi sono detta: lo rifarò. Quest’estate giuro che organizzo un beach volley e lo rifaccio.
Una partita breve però, che sennò mi fa male la schiena.