Il Carnevale
Per la prima volta mi sono trovata davanti ad un hangar. Mi sono sentita piccola piccola, sovrastata da un sostrato di bellezza che mi gocciolava addosso. Non tanto per la struttura, ci mancherebbe. Alla fine un hangar è solo un immenso scatolone di cemento e metallo. L’emozione è arrivata invece guardando ciò che ci cresceva dentro, come se si trattasse di un bambino nella pancia della mamma. Nove mesi di gestazione. Il cuore, le mani, i piedi. Un esserino nuovo, una possibilità. Un disgraziato, un nuovo genio o semplicemente un uomo. Dentro gli immensi capannoni di Viareggio, così freddi all’apparenza, è proprio come se ogni anno nascesse un uomo nuovo. Ho respirato questo affacciandomi dentro la Cittadella del Carnevale, infilando piano il naso nei laboratori dei Maestri carristi Breschi, Cinquini e Bonetti quasi con il timore di disturbare, nonché di fermarne l’ispirazione, con le solite domande da giornalista.
Dentro gli immensi capannoni di Viareggio, così freddi all’apparenza, è proprio come se ogni anno nascesse un uomo nuovo.
Sono entrata a passo lento nel mondo dei padri generatori dei giganti di cartapesta, quelle immense macchine scenografiche di colla, giornali e colori che ti si infilano dentro. D’estate li pensano. Li schizzano su carta, con le matite e i pastelli. Con il sole sono solo un’idea.
D’estate li pensano. Li schizzano su carta, con le matite e i pastelli. Con il sole sono solo un’idea.
E’ un lavoro che ti sporca le mani, i vestiti, il cuore. La mente.
Breschi è il maestro ricciolone, quello che sorride di più. Il Bryan May di Viareggio. Quest’anno ha dato vita ad un “Carro…armato di felicità”, un immenso cannone colorato di rosa con un pagliaccio al comando. Sprigiona allegria da tutti i pori. E particolarmente, Breschi è un carrista tuttofare. Scenografo, costruttore, pittore. Un uomo a tutto tondo. Il suo sorriso è in quell’armonia che provi appena ti stringe la mano, ora trasmessa nella sua nuova grande opera. Un po’ di quell’allegria se la porta addosso, nei pantaloni schizzati di vernice, nei capelli variopinti dopo ore di lavoro.
Poi ci sono i Bonetti. Figli d’arte, e più silenziosi. Forse per timidezza, o forse per umiltà. “Questo lavoro è tutto”, mi dice il maestro, guardando il suo carro che prende forma, dietro la mano esperta dei pittori. Si emoziona mentre si volta verso il Campanile di Giotto, la Torre di Pisa, il Colosseo, simboli de “La Penisola sommersa”. A spingere l’Italia sott’acqua, insieme alla politica inconcludente è un gigantesco Nettuno. L’acqua purifica da tutto e tutto trascina via con la sua forza. Aggrappati a quei monumenti ci sono Renzi, Grillo, Berlusconi. “Ho fatto ciò che tutti gli italiani vorrebbero”, mi dice Bonetti con un mezzo sorriso. “Spazzare via tutto”.
“Ho fatto ciò che tutti gli italiani vorrebbero”, mi dice Bonetti con un mezzo sorriso. “Spazzare via tutto”.
Già, gli rispondo. Ha ragione. Lo ringrazio, mi congedo e lo lascio al suo lavoro insieme al suo fratello e ad un’anziana signora, che se ne sta seduta al centro dell’hangar a osservare i lavori. Forse è la madre. Ha gli occhi che brillano.
In quasi tutti i laboratori c’è musica. Musica accompagnata dal silenzio della concentrazione. Poche parole, la giusta tensione, l’armonia di una cosa che chiamare “lavoro” sarebbe limitativo. E’ passione, infatti. Viscerale, carnale. Esagerata. Vitale. Me lo dice, con gli occhi sinceri, uno dei Fratelli Cinquini, Umberto. Rivolgendo l’indice verso il suo “Revolution”, indica il volto del protagonista del suo carro: John Lennon.
“E’ grazie a lui se faccio questo lavoro” , mi confessa. “Con le sue canzoni, con la sua ‘Imagine’ mi ha fatto capire quale era la mia strada. Così lasciai l’istituto tecnico dove studiavo e mi iscrissi all’Istituto d’arte”. Oggi, i Cinquini provano a farci sognare, a farci sperare in una nuova strada, un nuovo cammino, con la stessa canzone. Una rivoluzione d’amore, capeggiata proprio da lui, Lennon.
E’ mezzogiorno passato e il sole è tornato a baciare la Cittadella del Carnevale dopo giorni di pioggia battente. Burlamacco, sorride, vestito di rosso. I martelli battono sul ferro. I pennelli accarezzano il gesso. Si continua a lavorare. Respiro quell’aria a pieni polmoni. E anche io, con la musica e l’arte negli occhi, provo a trovare la mia strada. E mi incammino, lasciando alle spalle la bellezza di un uomo nuovo.