L’altra faccia della Terra Santa parte 1°
Il taxi procede ad andatura sostenuta e il palestinese che lo guida mi dice di preparare i documenti; presto giungeremo al posto di blocco, confine tra i territori israeliani e palestinesi.
Il mio tassista si chiama Nahim e si definisce un musulmano devoto e credente. L’unico rammarico che ha è quello di non poter praticare il suo credo quanto vorrebbe. Dice infatti: “Se devi lavorare dodici ore al giorno non hai tempo per le cinque preghiere giornaliere (Salat) né per il Ramadan. Non potrei mai farcela a tenere ritmi di lavoro del genere se non potessi mangiare e bere dall’alba al tramonto. “
Nahim è un palestinese residente a Gerusalemme con la moglie e con i figli. Lavora moltissimo per garantire alla prole un futuro, per offrire loro maggiori possibilità di successo, sperando che un giorno possano ripagarlo dei sacrifici accedendo a professioni che per lui sono sempre state solo sogni nel cassetto, poco più che miraggi lontani.
Arriviamo al posto di blocco e le guardie in tenuta mimetica controllano pedissequamente il mio passaporto nonché tutto il veicolo. Il muro erto per separare ebrei e palestinesi non è ancora completato (come lo è ora) ma i segnali di divisione sono già visibili. Scopo di questa trasferta è raggiungere la città di Betlemme, ad appena 5 km da Gerusalemme. Benché le due città non distino che pochi chilometri l’una dall’altra, la loro lontananza non è mai stata così forte e radicata.
Betlemme si trova nei territori palestinesi e sarebbe una cittadina di poco conto se non avesse ospitato uno degli eventi più rilevanti della storia dell’umanità. Qui – come tutti sanno – più di 2.000 anni fa – nacque un bambino destinato a cambiare le sorti del mondo.
Oggi, sopra il luogo della sua nascita, è stata edificata una basilica chiamata per l’appunto della Natività. Accedendo alle cripte si entra in una dimensione che molti definiscono così carica di energia da lasciare un segno indelebile su di loro. In un piccola grotta, una stella a quattordici punte segna il luogo dove vide la luce Gesù di Nazareth. Sono molti i pellegrini che entrano e toccano, respirano, strusciano pezzi del corpo e dei vestiti contro quella stella, sentendosi così più vicini al loro Dio.
All’interno lo spazio è limitato, e non può contenere più di poche persone, anche se ce ne saranno almeno dieci, stipate come sardine e pervase da una luce mistica negli occhi. Questo luogo, così semplice e banale, per molti costituisce l’ultimo approdo del loro viaggio.
Uscito dalla basilica vengo letteralmente investito da diversi venditori ambulanti pronti a rifilare a chiunque croci sacre, boccette di acqua santa, e riproduzioni della stella all’interno. Il mio istinto di viaggiatore mi dice di starne alla larga ma vedo che la maggior parte dei visitatori non è dello stesso parere. Frotte di turisti comprano e portano questi souvenir – inequivocabilmente fasulli – all’interno della grotta sotto la basilica così da aumentare la connessione spirituale con il Salvatore. Rimango sconcertato al pensiero che, per questa gente, oggetti riprodotti e artefatti possano avere un forte impatto spirituale, a prescindere dalla loro autenticità. Del resto anche sulla grotta sotto la basilica ci sono opinioni discordanti.
Nahim mi spiega che la chiesa è stata edificata nel luogo di presunta nascita del Cristo, ma che non vi siano prove storiche o scientifiche di questo. Sarebbe interessante scoprire che l’energia spirituale dei pellegrini e il loro senso di devozione di fronte alla stella potrebbero essere frutto di semplice suggestione. Del resto alla fede basta poco: credere che un luogo sia speciale lo rende speciale comunque, al di là di qualsiasi verità o prova scientifica.
Certo è che la fede dei pellegrini al supposto luogo della natività costituisce una buona fetta di business per tutti i venditori ambulanti e gli abitanti di Betlemme, permettendo alla città di godere di un flusso costante di pellegrini e turisti che senza dubbio portano benessere e ricchezza. Su quanto poi queste siano meritate o no non è rilevante. Grazie alla fede e ad una buona gestione del patrimonio culturale Betlemme si sa difendere a spada tratta e, a dispetto che la stella della natività possa essere niente di più che un cimelio di poco valore, per gli abitanti di Betlemme è diventata fonte di benessere, e per i pellegrini uno stimolo in più, una riconferma del ruolo svolto dalla religione nella loro vita.
Tornando verso il taxi assisto ad un’altra scena singolare. Un gruppo di arabi, che per quanto ne sapevo dovevano trovarsi in una moschea, sono tutti riuniti in una chiesa cristiana. Sono tantissimi e, ad essere sincero, non ricordo di aver visto una chiesa cristiana più affollata di questa. Curioso notare che la chiesa non si trova in Italia o in un altro paese ultra cristiano, ma sia in territorio palestinese e ospiti gente culturalmente molto distante dai valori predicati al suo interno.
Nahim mi spiega che di palestinesi cristiani ce ne sono parecchi, anche se tendono a mimetizzarsi e a rappresentare un caso atipico per la regione. Chi pensa che in terra santa le tre religioni monoteistiche non possano assolutamente sopportarsi l’una con l’altra ha una visione solo parziale delle cose. Vi sono uomini di etnia araba che pregano il Dio dei Cristiani e degli Ebrei, così come ci sono Ebrei e Cristiani convertiti all’Islam. La prova vivente sono questo centinaio di persone che cantano e pregano insieme in una chiesa cristiana, dove ciascuno di loro, per i canoni di pensiero comune, dovrebbe essere fuori posto.
La visita a Betlemme, malgrado sia stata breve, mi ha aperto lo sguardo su aspetti della terra santa che mai avrei immaginato potessero
esistere. Vedere i pellegrini cristiani, di retaggio cristiano, acquistare oggetti artefatti per introdurli in un luogo forse ancora più artefatto, e accanto scoprire uomini e donne di retaggio islamico, comportarsi da cristiani autentici e celebrare la loro religione in una vera chiesa cristiana.
Forse il mondo è andato sottosopra ma credo che la verità sia molto più semplice e banale. A volte ciò che sembra finto si rivela in realtà vero, così come, altre volte, può avvenire l’esatto contrario.
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