Una farfalla tatuata sotto l’ombelico
Lei aveva una pancia piccola e curata e una farfalla minuta tatuata appena un dito sotto l’ombelico, lungo la scia della peluria setosa che indicava la strada per dolci labbra appena schiuse ed umide, sotto il costume leggermente sollevato. Lui con la mano le catturava il piccolo ventre per intero, massaggiando su e giù con grandi cerchi un olio solare. Il profumo di legno e mandorle arrivava fino a me, sotto il mio stupido ombrellone; io, inebetita dall’arsura estiva e dalla scena lì ad un passo avevo lasciato cadere in terra il libro. Non era un brutto thriller, ma le parole non avevano più presa su di me, si staccavano dalle pagine per frantumarsi nell’aria tra il pulviscolo e la salsedine, mi ballavano davanti cariche di odori misteriosi.
“Cosa hai Federica?”, mi hai detto sospettoso, togliendoti gli occhiali da sole. “Non leggi più? Vuoi fare il bagno?”. Ho sentito la mia voce venire fuori da me sommessa, come a tentare di non svegliarmi dal sonno, e dirti piano: “No, no, grazie ora no!”. Ero avvolta nel profumo di quel massaggio come se quelle mani stessero accarezzando me.
Il torace di lui era scuro e ben disegnato, come un marinaio mostrava tutti i segni del lavoro muscolare; qualche goccia di sudore danzava come un serpente fra i peli riccioluti, dove il sole batteva con una luce rossiccia. Avvertivo il calore su di me, avrei voluto alzare un dito e delicatamente asciugare il suo sudore, e poi di nascosto sentirne in bocca il sapore, scoprirne il gusto salato. Lui poteva avere cinquant’anni al massimo, lei era poco più che ventenne. Le belle narici dell’uomo erano aperte come quelle di un cavallo in una corsa sfrenata e avevano la forma delle mandorle più dolci; di profilo il naso importante gli donava l’aspetto di un dio greco. Ne percepivo il respiro. Mi sentivo già stesa sotto il calore del suo fiato. Lui fischiettava un motivetto, scoprendo di tanto in tanto i denti bianchissimi, le folte sopracciglia nere si inarcavano al ritmo del motivo cantato. Poi strizzava gli occhi scuri e scrutava prima lei, poi il mare. Rughe a raggiera tutte da baciare piano. I miei capezzoli spinsero la stoffa del costume.
Le voci dei miei bambini che si tiravano palle di sabbia mi arrivavano distorte come in un incubo. Lei pareva dormire, ma forse fingeva. Era piccola. Delicata la sua figura snella, sfiorata sulle spalle strette da fili biondi, sotto le mani di lui.
I seni erano ben fatti, stavano su da soli, puntati verso il cielo. Si alzavano e si abbassavano al ritmo regolare del respiro, come una tranquilla onda di mare notturno. Era un corpo delicato e sensuale da stringere forte come i braccioli della mia sdraio in quel momento. Il costume del mio marinaio si gonfiava a dispetto degli occhi della gente; lei aprì leggermente le cosce portando una mano al limite del suo slip, le dita scivolarono verso l’inguine sudato e caldo. Poi andò oltre la stoffa.“Cosa guardi?” mi hai spiattellato in viso crudamente, mentre sbatacchiavo le ciglia per metterti a fuoco.”Non ti accorgi che lo stai fissando da più di un’ora? Che figura ci faccio io se se ne accorge?”.
Lei ebbe un piccolo sussulto, la farfalla al di sotto dell’ombelico sembrò sbattere le ali, e per un attimo mi parve che stesse volando via. I suoi occhi castani brillavano di spicchi dorati e guardandolo lo attirò a sé con un vigore che non le apparteneva. Vidi solo la piccola mano chiara tirare a sè il collo muscoloso e poi la sua pancia piccola e curata si nascose sotto di lui. Sotto di lui, ripetei a bassa voce, sotto di lui, o sopra di lei.
“Niente!”, ti dissi. “Non sto guardando niente, sono solo un po’ stanca e accaldata…”. Mi alzai pigramente dalla sdraio e mi diressi verso il mare. Avevo una gran voglia della carezza dell’acqua. Pestai mille granellini di sabbia colorata e mi dissi sorridendo: “Ma come diavolo è bollente questa sabbia…”.
Al largo, molto distante da tutto, mi lasciai andare e chiudendo gli occhi mi abbandonai al mio piacere.