A Natale puoi
Una settimana fa ho scritto uno stato personale su Facebook:
“La pubblicità della Bauli. Ora è Natale per davvero”
È l’interruttore che attivo ogni anno per far scattare la conversazione, tra il polemico e il simpatico, con vari amici che non la pensano come me sul Natale. Manco premo invio che uno di loro mi risponde subito: “Dio che tristezza, sempre la stessa solfa, ma chi ci crede più… lo stesso consumismo, la stessa falsità di tutti gli anni”.
Bene. Io procuro tutte queste polemiche nella speranza, un giorno, di trovare qualcuno che mi convinca della loro utilità. Perché, a mio modestissimo parere, è semplice odio atavico per qualunque cosa sia un fenomeno di massa, e non sopportare queste cose a priori è l’attività preferita dei nuovi radical chic. Non lo ritengo un errore madornale, sia chiaro, potrebbe anche essere una bella tattica per non soffrire troppo nella vita, una cosa che ti fa arrivare preparato al momento in cui la centesima cosa che hai previsto come una fregatura, si dimostra, al fine, una fregatura. Legge dei grandi numeri.
Ma non sarà solo una perdita di tempo e forze vitali che potresti meglio investire, che so, mangiando torroncini? O, magari, andando a fare i regali di Natale ai tuoi parenti minorenni che ormai sono gli unici a riceverli (i maledetti), ma quei sorrisoni che ti fanno mentre li spacchettano valgono tutta la fatica?
La cosa che davvero trovo inconcepibile è come faccia un essere umano normale, radical chic o no, a restare indifferente al momento “Albero di Natale”. Al di là di tutte le situazioni che spaziano dal “terrificante” allo “straordinario” e che sicuramente ognuno di noi può ritrovare alla voce “dicembre” nel libro della propria vita, quello che intendo dire è che l’Albero di Natale è come l’amore: non importa quanto ci ha fatto male, a volte, ma non puoi pretendere di non scioglierti guardandolo. Non a lungo almeno.
Nel mio capitolo, il Natale, si è quasi sempre presentato così:
Il 20 novembre cominciano ad apparire in ogni angolo del salotto, come per magia, i cioccolatini della Ferrero. In quel momento c’è il tuo grasso cutaneo che è tutto emozionato per la gioia di trovare, presto, nuovi amici, e mentre è lì che canta “Brasil, Brasil” senti un urlo, in lontananza, ed è il file pdf della Dieta a zona che dal tuo desktop si è tuffato nel cestino senza neanche darti la possibilità di spiegare.
Intorno al primo dicembre, cominci ad avere voglia di andare a spasso per la città a vedere le lucine. Spesso rosicando, perché anche quando le hanno montate non sono accese. È in quei giorni che, appena hai abbassato la guardia, parte questa canzoncina a tradimento:
Oppure stai cercando il tuo Grinch concentrandoti sulle autopsie di CSI e, a un certo punto, un bimbo a una finestra, con un pandoro più grande della sua faccia di fronte a lui, ti strilla nei timpani: “A Natale puooi”. E tu hai trent’anni, mica dieci. Ma in quel momento, no, in quel momento ne hai dieci e ti chiedi: ma quanti diavolo di giorni mancano al momento addobba-l’albero?
A rigor di logica, ora arriverebbe la data 8 dicembre. Ma no, tiè, a casa mia l’albero si è sempre fatto il 4. Perché è Santa Barbara, la protettrice della città da cui proviene tutta la mia famiglia. E tanto tanto tempo fa, mentre il mio bisnonno era in guerra, la mia bisnonna regalò il suo momento natalizio alla Santa, di modo che lei le rimandasse a casa il marito per Natale. E sono qui a raccontarvelo grazie al fatto che, anni dopo il suo ritorno, i due fecero quella cosa delle api col miele e nacque mio nonno. E il tutto, tra l’altro, è la prova inconfutabile che le decorazioni natalizie piacciono persino a Santa Barbara.
Pertanto, il 4 dicembre, più o meno alla seconda ondata di Ferrero Rocher, è sempre successo questo: io metto su il cd di Natale, rigorosamente swing, perché l’unica cosa che davvero non sopporto di questo periodo sono i coretti gospel e le canzoncine cantate dai bambini; papà prende l’albero, apre la scatola e lo monta, perché è l’attività più testosteronica di tutto il processo; nel frattempo, mamma apre le quindici cassette di addobbi, collezionati con devozione in quarant’anni di Natali passati a comprare decorazioni come se non ci fosse un domani, ci si mette davanti, ed è il momento della scelta. Perché sì, ogni anno, a casa mia, l’albero cambia. Passa per le fasi dei colori di Picasso.
Ogni anno, un tema. Come l’anno del blu. Molto bello l’albero blu, ve lo consiglio. Ma sappiate che si sopporta poco. Dopo una settimana ti viene voglia di cambiarlo. E se sei mia madre, lo fai pure. Riapri le scatole, scegli in quale altra fase sei, smonti tutto quanto, rimonti in base alla seconda fase. Se siete una persona sana di mente, invece, rischiate di passare un mese a lamentarvi che ormai è troppo tardi (ma a consolarvi ci saranno i Ferrero Rocher).
Poi c’è la fase rossa, bianca, bianca e rossa, blu e bianca, gialla, tutto vetro. L’anno del tutto vetro si è potuto rifare solo dopo la dipartita del mio gatto, che aveva apprezzato particolarmente il primo anno del tutto vetro, nelle sue parti più profonde, e noi ci siamo ritrovati con aspirapolvere alla mano e cocci dappertutto.
Insomma, arrivo al punto: il quattro dicembre sera (o l’otto per voi che non avevate bisnonni molto romantici) si spengono le luci e si accende l’albero. C’è quel momento in cui hai ripulito la stanza e nel tuo salotto c’è un’atmosfera strana. Ti accasci su una sedia, un divano, un letto, un tappeto. È quel momento in cui stai in silenzio, in compagnia delle persone con le quali hai creato quella magia e la guardi. E non c’è più età, per nessuno. C’è un millesimo di secondo in cui dimentichi anche che Babbo Natale non esiste. C’è un millesimo di secondo in cui sei lo Scrooge del Cantico di Natale e ti ripassi tutti i Natali passati e anche un po’ quelli futuri. Ti sembra quasi che l’albero caschi mentre c’è dentro il tuo gatto. Ti sembra di assaporare quella cioccolata calda che una volta avete preparato alla fine della fatica. Ti sembra di sentire delle voci, delle persone, delle risate, delle canzoni… è tutto nella tua testa e tu hai solo dieci anni.
Ah, no, ne hai trenta ormai.
Ma che importanza ha, adesso?