Sanità fai da te
Causa lancinanti contrazioni addominali, tali da rendermi molto più simile ad un leprotto in preda ai vigori primaverili che ad un bipede erectus normalmente deambulante, lo scorso fine settimana salutai il giorno che volgeva all’imbrunire vacalizzando, rantolante, nel prontissimo soccorsissimo di una città del Nord pioniera della sanità.
Erano le 20.00. Mi adagiarono con una ragguardevole gentilezza su una sedia a rotelle recante la scritta sala parto e mi collocarono nella stessa corsia di quelle persone che aspettavano il prontissimo interventissimo dal giorno prima.
Pensai: “Non siamo in tanti, mi visiteranno subito”. E in effetti dopo poco più di cinque minuti, un gentile infermiere, affacciandosi timido dalla porta dell’ambulatorio, chiese chi fosse tale “Insarda” in attesa di controlli. Non è colpa sua se ai tempi della nanotecnologia, delle intelligenze artificiali, della robotica raffinata, degli ologrammi e degli interventi chirurgici endoscopici, i computer non riconoscono l’accento del mio cognome.
E poiché nessuno si mosse, intuii che non ci fossero omonimi privi del segno grafico di cui sopra e che quell'”Insarda” fossi io.
“Intende Insardà?” – urlai – “Con l’accento?”
“Può darsi. Se non c’è nessun Insarda in attesa allora è Insardà”. Sagace!
Mi avviai trasportata dalla mia fida amica che non mi lasciò sola neanche per un attimo in quelle ore di dolore, se non per una brevissima dormita ristoratrice, con tanto di palloncino nasale a gonfiamento e sgonfiamento costante, dall’arrivo al pronto soccorso a ben oltre le mie dimissioni. Dormiva così beatamente che quando alle due del mattino lasciai l’ospedale, non mi sentii di disturbarle il sonno e la lasciai lì a riposare. Tornai a prenderla per l’ora di colazione. Credo debbano averla ritenuta in coma perché quando andai a prelevarla aveva una serie di cannule inserite nel braccio e un tubo sospetto che le fuoriusciva dal cavo orale. Io non dissi nulla per non metterla in agitazione, ma fu inevitabile chiederle, con molta circospezione, come si sentisse. Stava bene devo dire, solo mi raccontò di uno strano sogno, pieno di gente vestita di bianco intorno a lei, forse angeli, che movimentava macchine e che cercava disperatamente qualcosa che evidentemente non sapeva più dov’era finita, perché ripeteva in continuazione “la stiamo perdendo, la stiamo perdendo”. Devono aver trovato tutto però, perché l’atmosfera mattutina di quell’ambiente tristo e infelice era distesa e positiva. Ovviamente per ragioni di praivasi non farò il nome di questa persona a me molto vicina che, nonostante la giovine età, si privò del suo festante sabato sera per sostenere un’amica nel momento della fatica e della difficoltà. Noemi!
Ma torniamo all’infermiere. Mi disse: “Le faccio il prelievo così ci portiamo avanti col lavoro”.
ripeteva in continuazione “la stiamo perdendo, la stiamo perdendo”. Devono aver trovato tutto però, perché l’atmosfera mattutina di quell’ambiente tristo e infelice era distesa e positiva
Pensai: “questa sì che è celerità. Affrontare in modo così alacre il lavoro ospedaliero garantisce un intervento sul problema tale da ridurre al minimo le percentuali di complicanze dovute, molto spesso, alla negligenza umana”.
Noi ci portammo avanti col lavoro, è vero. Ma è altrettanto vero che il lavoro si svolse più o meno intorno all’una. E in quelle cinque ore niente di che: continuai a rantolare ripiegata su me stessa senza soluzione di continuità, il battito acceleratissimo, la frequenza alle stelle, la sudorazione da ghinnes uorld record, la telefonata di Barbara D’Urso che mi invitava a partecipare al programma, insomma: una serie di cose insopportabili con l’aggravante, oltre alla D’Urso, di spasmi muscolari talmente forti che dagli evidenti e continui scatti che facevo, dapprima fui scambiata per un fotografo e successivamente, quando lo scatto mutò in aggraziati saltelli, per la talentuosa figlia di Carla Fracci. Allora tutti iniziarono a chiedermi di mia madre, e sebbene mia madre fosse stata effettivamente una volta in quell’ospedale, ma tanti anni prima, non capivo come tutti potessero ancora ricordarsi di lei.
Ovviamente per ragioni di praivasi non farò il nome di questa mia cara amica. Noemi
Qualcuno in camice ex blu (chiaro sintomo di candeggio sbagliato) mi si avvicinò.
Pensai: “Finalmente si prendono cura di me“.
Invece mi scrutò con sguardo indagatore e mi disse: “Ma perché salta così su quella sedia?”
“Perché su quel lettino c’è Noemi che dorme”.
“Quella ragazza bionda sul lettino? Dorme? Sarà il caso che avvisi l’impresario di pompe funebri che è venuto a prendere le misure”.
E se ne andò lasciandomi di nuovo in ascetica solitudine.
Ma torniamo sempre all’impavido infermiere, signore di siringhe e provette.
Nel mentre mi privava, inflessibile, di un certo quantitativo di sangue, prese a dirmi: “Può essere per caso incinta?”
“No”
“Sicura?”
“Sì”
“Allora ha il sospetto?”
“Ma no, non ce l’ho”
“Allora ha la certezza?”
“Sono certa di non essere incinta”
“Allora perché è su quella sedia?”
“Perché sul lettino c’è Noemi che dorme”
“No, dico perché sulla sedia della sala parto?”
“Perché all’accettazione c’era un rappresentante di sedie a rotelle, e poiché dal catalogo mi sembrava particolarmente fescion, e in tinta col tuinset, ho scelto questa”.
Nel silenzo dell’ambulatorio si sentirono i pattini stridenti dei neuroni del prestante operatore socio-sanitario che frenavano quasi sgommando per evitare impatti irreversibili con la calotta cranica.
Riprese risoluto: “Occhei, le faccio il prelievo”.
E tacque. E di lì a poco si fece sostituire saltando a piè pari il turno.
E vabbè, ma se ti dico che non sono incinta lo saprò. Eh!
Arrivata che fu la mezzanotte, il mio corpo decise che non ce la faceva più a soffrire in tal disumana guisa, e invece di attendere oltre i prontissimi soccorsissimi, improvvisamente rinsavì e si riebbe.
Non avendo nulla da fare, nell’attesa dell’oramai vano controllo, iniziai a dar una mano al personale addetto, preoccupandomi degli astanti. Tastai il polso a Noemi, ma nel mentre la ripulivo del rivolo di saliva che le rigava il mento, venni chiamata per la visita. Stando in perfetta forma entrai in ambulatorio sulle mie gambe.
Il dottore mi fece accomodare sul lettino e iniziò a farmi un’ecografia all’addome.
“Può essere per caso incinta?”
Ebbi un sussulto ecstrasistolico. Non ero sicura di cosa mi avesse intercettato nel ventre per farmi quella domanda. Lo guardai con aria di sfida e, sempre cercando di tenerlo sott’occhio, mi diedi uno sguardo in giro temendo che la sedia della sala parto mi avesse seguita.
E se non c’è nulla, dico io, cos’è che hai visto a forma di bambino che mi hai chiesto se sono incinta?
“Bene” – fece il medico ignorando totalmente il mio vaneggiamento – “Qui non c’è nulla. La mando a fare le radiografie”.
E se non c’è nulla, dico io, cos’è che hai visto a forma di bambino che mi hai chiesto se sono incinta? Ma a volte si sa: inutile farsi domande inutilmente inutili. Silenzio e procedere.
Arrivata in zona radiologia, e sapendo di mio che le donne incinte non possono sottoporsi a certi esami, iniziai da sola, oramai stanca e confusa, a rassicurare il tecnico:
“Non sono incinta, non ho sospetti ma ho un tuinset molto carino, la sedia della sala parto me l’ha regalata Noemi che dorme sul lettino insieme al rappresentante del catalogo fescion”.
“Guardi signora, il reparto per trattamento sanitario obbligatorio è più avanti. Qui facciamo radiografie e non posso neanche darle retta ché è in arrivo la signora Insarda che probabilmente è incinta. È forse lei?”
“No, mi spiace. Insarda senza accento non sono io. Dev’essere quella bionda inerme sul lettino. Mi scusi se non mi intrattengo per due chiacchiere ma mi stanno aspettando: ho due mesi di ferie pagate al centro di igiene mentale e non voglio correre il rischio che scada la promozione. Ma se ci tiene davvero così tanto, sappia che se dovessi scoprirmi incinta le farò sapere. Lei comunque, per scrupolo, si renda reperibile accaventiquattro, resti in contatto con la D’Urso e lasci sempre attivo uozzap”.
E guadagnai l’uscita. E probabilmente anche l’indulgenza plenaria. E forse anche il Paradiso. E probabilmente anche una citazione nel vademecum “Sanità fai da te”.E di sicuro una multa per aver involontariamente parcheggiato, vittima di rantoli e coliche, davanti all’ingresso del prontissimo soccorsissimo e senza neanche una minaccia d’aborto.