Un desiderio per te
Era il 1987, credo, giù di lì. Quand’è che siamo andate all’asilo? Scusa, non mi ricordo, sono una frana. Sei tu la memoria che vale per due, in questa coppia tutta nostra. Sei sempre tu quella che racconta le nostre storie, io quella che ti guarda spaesata e si diverte ad ascoltarle come fosse la vita di qualcun altro. Non è cattiveria, lo sai, quando avrò l’Alzheimer e tu mi dovrai imboccare col cucchiaio, continua a raccontare, che almeno ci sarà una diagnosi a giustificarmi.
Beh, comunque, facciamo che era il 1987, dai. Facciamo che, come la matematica ci insegna, avevamo tre anni. E tu avevi un nasino meraviglioso e i capelli ricci e un po’ crespi, e sempre le trecce. Quando penso a te, allora, fino ai dieci anni più o meno, ti ricordo con le trecce e quel fiore viola in testa, quello della foto che hai al bagno adesso. E le fossette che ti si sono sempre fatte sulle guance ogni volta che ridevi, e ridi.
Conosco molte persone, le amo profondamente, ma se eliminiamo i parenti, tu sei l’unica costante presente nella mia vita da quelle prime risate, cristalline e limpide, come solo quelle prodotte dalla gola e dal petto di una bambina di tre anni possono essere. Tu, nel suono di quel petto, ci sei sempre come un’eco. Io ci sono nel tuo.
E oggi, proprio oggi, non ci sarò a vederti spegnere le candeline che seguono la risata della donna che sei diventata. Chiudi gli occhi. Esprimi un desiderio. E aspetta, aspetta un attimo, e leggi quello che desidero io per te.
Vorrei che tu avessi la forza di rialzarti sempre. Vorrei che tu ricordassi sempre che ci vuole forza, anche per disperarsi senza ritegno. Anche per piangere e ammettere di essere deboli.
Vorrei che vedessi il mondo come un parco giochi che non si aspetta niente da te, se non “un altro giro di giostra”
Non è facile. Gran parte delle persone camminano per il mondo con il petto in fuori, convinte che non arriverà mai nulla di così grosso da sbatterle a terra. E anche quando succede, guardano quella terra con sufficienza, come se non avesse niente di buono da dargli. Tu no. Tu lo sai che vuol dire essere abbattuti. Tu, che non hai mai fatto finta di niente, e anzi quella terra l’hai guardata, accarezzata, idratata. L’hai conosciuta come va conosciuto tutto quello che spaventa di più. Tu, piccola donna di ferro, hai avuto la forza di farci amicizia. E poi te ne sei andata sui tuoi piedi.
Vorrei per te che tutte le volte fosse sempre un po’ più facile. Vorrei che quella terra si ammorbidisse al tuo tocco e attutisse la tua caduta, ti cullasse il tempo necessario per capire che deve lasciarti andare presto. E succederà, perché te la sei fatta amica con il tuo percorso di donna che oggi, queste candeline e questo spritz, celebrano.
Vorrei, invece, a volte, che affrontassi le cose con molta più leggerezza e meno emotività. E so che stai imparando a farlo senza cambiare la tua natura. Vorrei che vedessi il mondo come un parco giochi che non si aspetta niente da te, se non “un altro giro di giostra” (cit.). Perché il mondo è al tuo servizio, dolce sorellina. E non potrebbe essere altrimenti per lo spettacolo che sei.
Vorrei sdraiarmi con te sul prato sotto la Torre Eiffel, dormire nel divano letto del tuo monolocale in periferia e mangiare una di quelle schifezze che abbiamo provato nella vita, tipo le patatine con lo yogurt. Vorrei farci un’altra foto come questa, un po’ più cresciute, un po’ più sapienti, e anche un po’ più sceme. Un’altra foto per noi, per segnare l’ennesimo pezzo di percorso di cui siamo testimoni della vita dell’altra, senza badare agli anni che passano. Perché la maturità è sopravvalutata. E oggi che cambi decina, ricordatelo. Che hai solo pagato un altro biglietto per le montagne russe.
Non ti dico che vorrei che fossi felice. Perché, diciamocelo, è un po’ scontato. Vorrei che fossi viva. E vibrante. Di gioia, di dolore, di saggezza, di stupidità. Vorrei che come su una montagna russa tu urlassi, ridessi, piangessi, e ti sentissi drogata di adrenalina. Vorrei vederti desiderare di volare, sempre.
Vorrei infine, e questo sono certa lo vorresti anche tu, che trovassi un uomo che non ha paura di stare con una donna libera. Che fosse così figo da completarla definitivamente. Da capire perché a volte sembra scontrosa, e in certi giorni nevrotica e triste. Vorrei per te un uomo che venerasse le tue parti più complicate, che amare quelle belle è troppo facile.
Vorrei essere lì. Anche se la mia mente oggi è già tutta al tuo fianco, e sto qui giù a chiedermi che fai, che dici, a che pensi. Sei triste? Sei felice? Sii felice, te ne prego. Oggi è una conquista.
E poi, grazie. Grazie perché mi hai sempre guardato le spalle, anche senza essere fisicamente qui ad attutire le mie cadute. Grazie perché mi hai fatto compagnia su quella terra dove sono caduta, me l’hai presentata, e sempre, sempre, sempre, da quasi trent’anni, non mi hai mai lasciato sola. Né con lei, né con me. E anche quando mi hai lasciato con me sei sempre rimasta in silenzio dietro l’angolo, per arrivare prima nel caso ti avessi chiamato. Grazie per avermi guidato in un momento in cui non sapevo più qual era il nord, grazie per avermi detto che ero io, lo sono sempre, e per tutte le cose che mi hai insegnato, mi hai confidato, con una bottiglia di Martini rosso seduta sulla poltrona di casa tua.
Se potessi spegnere le tue candeline ed esprimere un desiderio per te, in una frase, sarebbe questa:
“Vorrei che la mia Nas potesse passare un giorno con i miei occhi, dentro la mia testa, a guardarsi come la vedo, così luminosa e insostituibile”.