Lettura n.2- Come una roccia
Will siediti accanto a me, amico mio. Hai il volto stanco, il fisico appesantito, piegate le tue spalle sotto il peso degli anni, non i tuoi, ma quelli del mondo intero che ti scorre addosso, il mondo che crede tu sia una roccia. Forse lo credi anche tu amico mio. Siedi accanto a me su un prato verde di rugiada e leggi qualcosa, o meglio, racconta qualcosa, dei libri letti, delle tue lezioni di letteratura, dei silenzi poetici nel tuo piccolo studio, dimmi dello sguardo pieno di dolcezza silenziosa che scambiavi con la tua bambina accovacciata in terra. Vedi Will, le tue mani scure dalle dita tozze, abituate al lavoro nei campi, le tue mani che malgrado la mitezza di una vita scivolata senza ribellioni, hanno conosciuto l’amore e la passione di Katherine, la fatica della penna sui fogli dei tuoi studenti, infaticabili strumenti a correggere e sottolineare le parole giuste del tuo libro, le tue mani sembrano non reggere più il peso di una vita intera.
Che tu possa metterle fra le mie, come due amici, con la pacatezza di chi ti comprende e non ti giudica, perché la forza non è insita soltanto nella ribellione dello sfascio, dello scarto veloce e del salto agli ostacoli. La tua forza, amico mio, è la resistenza persuasa del fatto che dentro di te una ragione più alta ci sarà a guidare gli eventi e il corso degli anni. Un passo avanti all’altro, cammina con me nel parco, Will, e parliamo piano, delle tue speranze, delle promesse tradite dal mancato amore di tua moglie, della durezza del collega universitario, della sfida dello studente impertinente, del triste abbandono di fronte alla vita di tua figlia, la bambina che non hai potuto crescere come ti sarebbe piaciuto, Will. Hai attraversato i vortici della guerra amico mio, la delusione dell’oscura ragione del fallimento di un matrimonio, e la fragilità dell’amore impossibile, quello che hai tenuto dentro di te fino agli ultimi respiri senza poterlo difendere come un paladino. Eppure Will, non pensarti come un debole, non c’è fallimento negli eventi tragici della tua vita, anche il dolore lo hai addobbato di dignità sincera, io lo so, lo sento e l’apprezzo, soprattutto se paragonato allo stridente fracasso delle vite sbandierate dei nostri giorni. Ti sono molto affezionata Will, ti stringo la mano e scorgo tanta delicatezza nell’apparente sgraziata forma delle tue dita di umile contadino professore. E scusa se nell’atto di salutarti abbasso gli occhi per nascondere due lacrime.
“Quand’era giovanissimo, Stoner pensava che l’amore fosse uno stato assoluto dell’essere a cui un uomo, se fortunato, poteva avere il privilegio di accedere. Durante la maturità, l’aveva invece liquidato come il paradiso di una falsa religione, da contemplare con scettica ironia, soave e navigato disprezzo, e vergognosa nostalgia. Arrivato alla mezza età, cominciava a capire che non era né un’illusione né uno stato di grazia: lo vedeva come una parte del divenire umano, una condizione inventata e modificata momento per momento e giorno dopo giorno, dalla volontà, dall’intelligenza e dal cuore. “
Leggendo Stoner di John Edward Williams, Fazi Editore.