L’amore tradito
Sei mai stato innamorato? Maria me lo chiese a bruciapelo, come se fosse la più naturale e innocua delle domande. Nessuno mi aveva mai fatto una domanda simile, a parte le donne che mi ritrovavo nel letto e che avevano voglia di parlare d’amore, come se questo potesse essere un viatico di avvicinamento.
Io guardai Maria, stupito dalla naturalezza di quegli occhi vivaci e a tratti fanciulleschi, che si portavano addosso il brio di un’adolescenza mai abbandonata.
“Credo di no”, risposi. E non aggiunsi nient’altro. “L’amore è un sentimento troppo importante per racchiuderlo dentro tante parole o dentro una persona sola. Non trovi?”
La positività di Maria iniziava a darmi ai nervi. Non poteva essere tutto dannatamente perfetto su quell’isola. La gente che non correva nonostante avesse miliardi di cose da fare, quell’onnipresente sorriso che accompagnava gli incontri e i caffè, i panorami che erano sempre troppo belli per non guardarli. I pomodori che erano buoni anche se li coglievi e gli tiravi un morso in mezzo ai campi.
I pomodori che erano buoni anche se li coglievi e gli tiravi un morso in mezzo ai campi
Non potevo dire altrettanto della mia città, Roma. Era ed è la più bella al mondo eppure non mi generava quel tipo di sensazioni, non mi emozionava più. L’isola mi stava regalando cose troppo belle senza chiedere nulla in cambio. Aspettavo la fregatura da un momento all’altro, sapevo che non sarebbe tardata ad arrivare. Le cose belle non arrivano mai da sole, di questo ne ero convinto. I pochi decenni che avevo sulle spalle mi avevano insegnato che la felicità è roba momentanea. Il resto – e tutto quello che ci sta intorno – è vita dignitosa, quotidianità, lavoro, gente, parole, giornali, pranzi e cene in determinati orari del giorno e della sera, libri da leggere, benzina da consumare, autostrade, asfalto sotto i piedi. Cammino. Io, a dire il vero, avevo corso sempre, camminato mai. Avevo corso e rincorso, senza concedermi tregue. Solo dopo la morte di Lucia e l’arrivo ad Ischia mi ero concesso una tregua forzata: le giornate parevano una diversa dall’altra e così pure le strade. Ogni volta che le percorrevo trovavo nuovi scorci, il sole che ci batteva contro le rendeva mutevoli, le carezzava di luce, ci rimbalzava addosso come una palla colorata. I profumi, gli odori, mai così intensi. Persistenti. Dopo anni nei quali avevo le narici intasate di smog imparavo a gustare tutto quanto. Era un po’ come quando uno smette di fumare e riesce a sentire di nuovo il sapore dei cibi.
Maria continuava a guardarmi. Mani sui fianchi e il piede destro che batteva a terra. Faceva l’ironica, Maria. Aspettava una mia risposta.
“Non ho tempo per amare nessuno – tagliai corto. Ho sempre cercato di amare me stesso, questo mi basta. E non credere che sia egoista – le dissi – mentre le giravo intorno come a chiuderla in un cerchio perfetto”.
“Quanto sei diverso da tua madre. Lei viveva d’amore. Viveva di sentimenti anche se non poteva dargli un seguito. Era una donna eccezionale, Lucia. Non ho mai visto in altre lo stesso coraggio, la risolutezza, l’altruismo”.
“Risolutezza? Si vede che non conoscevi bene Lucia”, replicai e smisi di guardarla. Mia madre stava diventando un fantasma troppo ossessionante, opprimente.
Maria non era interessata ad ascoltarmi. Nemmeno mi rispose. Continuò solo a parlare mentre decine di gabbiani si posavano sul muricciolo ricoperto di verde.
“Vedi là – là c’è Napoli”.
“Vuoi darmi lezioni di geografia?”.
“Non sarei mai brava come te. – ribatté – Là c’è Napoli, dicevo. E ti pregherei di non interrompermi, quello che ho da dirti è difficile“.
Non battei ciglio. Volevo solo sapere.
“Avanti, ti ascolto”.
“Ti ho chiesto se eri mai stato innamorato, tu hai sviato. Lucia, non l’avrebbe mai fatto. Ha vissuto un grande amore, tua madre, di quelli che poche volte la vita ti regala. E – vedi – lui stava là, oltre il mare, a Napoli. Stava su quel pezzo di terra caotica e ingombrante, bella e maledetta”.
Guardammo insieme per interminabili attimi di silenzio la costa che luccicava, tanto che pareva muoversi nervosa.
Io non ebbi coraggio di chiedere. Ero disposto solo ad ascoltare. Sentivo un groppo salirmi in gola, sempre più opprimente. Facevo fatica a respirare. Cosa stava per dirmi Maria? La risposta non tardò ad arrivare. Lei mi disse tutto con gli occhi che brillavano, come se stesse raccontando la più bella delle storie d’amore.
Strusciai le mani contro i jeans. Erano maledettamente sudate. Volevo solo che quel momento finisse in fretta.
“Tua madre si era innamorata di un altro uomo. E non fare quella faccia schifata. Non darle della traditrice o della poco di buono. Ti ripeto, tua madre era innamorata. E lui lo era di lei. Lucia era la sua vita anche se non ha mai potuto vivere con lei, starle accanto, andare in vacanza, prepararle la cena”.
Io stavo impazzendo. Mia madre aveva avuto un amante? Quando? Quanto tempo era durata? Non ce la facevo a immaginare Lucia a fare l’amore nel letto di chissà quale albergo, in qualche auto sperduta nelle campagne, a godere di pochi attimi, per poi rivestirsi e tornare alla sua vita. Mia madre, nuda. Il sesso, la bocca di questo uomo sconosciuto che l’avrà usata, si sarà approfittato di lei e non ha avuto nemmeno il coraggio di lasciare la moglie. Un vigliacco. Come vuoi chiamarlo uno così? Troppo facile nascondersi dietro l’amore. Troppo facile nascondersi dietro le parole. Tirai un calcio al muretto. Girai su me stesso. Passai entrambe le mani tra i capelli. La testa scoppiava. Avrei voluto solo addormentarmi.
“Ranieri, lo sapevo che avresti reagito così. Ma guardami. Voglio che mi guardi negli occhi”.
Non ci riuscivo. Dentro me gonfiava solo rabbia. Odiavo quell’isola, quel panorama su Napoli, mia madre.
Maria si avvicinò, mi prese il volto tra le mani, con un gesto improvviso.
“Era un amore che tu neanche puoi immaginare. Io l’ho visto con i miei occhi. L’ho avvertito. Ho pianto per loro ogni volta che si dovevano separare. Lucia, ha portato dentro Umberto tutta la vita anche quando si sono lasciati. Veniva qua, ad Ischia, da sola. Veniva qua solo per guardare Napoli da lontano, per pensarlo. Se ne stava in silenzio. Piazzava una sedia di ferro davanti al panorama. Era serena. Era amore, Ranieri. L’ho promesso a Lucia che ti avrei raccontato tutto. Quando me lo ha chiesto ho pensato che fosse pazza. Tu non mi conosci, perché essere io a raccontarti questa storia? Però lo dovevo a tua madre, era una persona speciale, credimi. Non una donna perfetta, ma una donna unica sì. Lo era”.
Non parlai. Non risposi. Rimasi con gli occhi incollati a quelli umidi di Maria. Si era emozionata. I miei erano secchi di rabbia. Le sue mani che mi stringevano il volto mollarono la presa decisa per diventare carezze. La strinsi. Le passai le braccia sulla vita, le mani sulla schiena, la portai vicino a me. Durò moltissimo. Avevo bisogno della sua energia. Della dolcezza, del calore umano. Fu come tornare bambino. Stringevo Maria e pensavo a mia madre. Ero un uomo sicuro, deciso, risoluto. Maria, con le sue parole, aveva distrutto ogni cosa eppure non la odiavo, piuttosto avevo bisogno di lei. Era il mio unico appiglio con il passato.
Lei ricambiò l’abbraccio. Sentivo le sue lacrime silenziose corrermi sul collo. Avvicinò le sue labbra al mio orecchio. Con un filo di voce mi disse: “Adesso dobbiamo aprire la porta blu“. In quel momento capii che Lucia aveva deciso tutto. E io, nonostante fosse morta, ero ancora come un burattino nelle sue mani.