Berlino. 9 novembre
Solo di rado la Storia ci permette di assistere a quello che agli occhi di molti potrebbe parere un miracolo. Ma quando davanti allo sguardo incredulo di chi ha visto tanto – troppo per poter sperare ancora – la situazione si rivolge completamente a tal punto che a realizzarsi è l’insperato, un nuovo ottimismo ci fa credere che forse tutto sia davvero possibile. Sono questi i momenti che val la pena celebrare. Le fratture ricomposte, le ferite rimarginate.
Coloro che stasera guardano il cielo sopra Berlino sanno bene il significato di queste parole, e asciugandosi le lacrime non riescono a trattenere un sorriso. “Chi avrebbe mai pensato che sarebbe accaduto davvero. Noi non lo credevamo possibile”. Una signora stretta nel suo giaccone invernale parla all’amica, mentre con la mente proietta davanti a sé immagini di un passato doloroso. “Ancora adesso a volte non ci credo”. Le parole evaporano nell’aria fredda di questa notte d’inizio novembre, calde come il respiro della folla radunatasi in quest’angolo del Mauerpark per festeggiare il primo quarto di secolo dalla caduta del Muro. L’atmosfera sembra quella di venticinque anni fa: la stessa luce gialla, la stessa atmosfera incredula ed eccitata. Con la differenza che oggi si ha la certezza che non s’è trattato di un abbaglio.
Perché all’inizio manco c’era il coraggio di oltrepassare il confine. “Al di là della frontiera c’era il cecchino ad attenderti, la morte certa. Noi si giocava vicino al muro, eravamo ragazzini. E i cecchini li salutavamo anche. Ma stavano oltre un confine invalicabile. L’ovest era la parte di noi che non ci era permesso conoscere”. Anna è figlia di un ex poliziotto della Stasi e sin da bambina ha dovuto imparare a rispettare i limiti, anche quelli tra ciò che poteva essere detto e quel che invece andava taciuto. “Mio padre non parlava mai di quel che faceva al lavoro. In fin dei conti era un padre di famiglia e ci voleva proteggere. La brutalità del sistema era un peso anche per lui”.
Un sistema brutale ma non eterno, che alla fine crollò. Il mondo sembrò ritrovare il buonsenso e i ragazzi dell’est, quegli stessi che avevano condotto le proteste nonostante le manganellate e gli arresti, si lanciarono alla scoperta del tanto sognato ovest. “Non si andò subito dall’altra parte. Temevamo fosse un inganno, avevamo paura di finire tutti arrestati”. Daniel si riaggiusta gli occhiali minimal sulla punta del naso. “Quando si ebbe la certezza che non si trattava di uno scherzo corremmo subito a cambiare i soldi. In tasca volevamo i dollari”. E al chiedergli quale sia stata la cosa che dell’ovest per prima lo colpì trattiene a stento una risata. “Il puzzo di urina. Avevamo letteralmente invaso Berlino ovest e latrine per tutti in città non ce n’erano”.
Molti cercheranno la fortuna nell’ex Germania ovest, dovendo presto fare i conti con i pregiudizi, lo shock culturale ed il mercato incapace di assorbire una crescita così imprevista e repentina della domanda di lavoro. Tanti torneranno a casa, ma questo fece parte dell’assestamento e, stando a quanto si sente in giro, nessuno tornerebbe indietro.
Stasera è il 9 di novembre e si cammina tutti insieme con lo spumante in mano. La vergogna per i misfatti compiuti dal terzo Reich, che ha schiacciato con il suo peso opprimente la generazione del dopo guerra e quelle seguenti, non impedisce ai tedeschi di sorridere. Perché la caduta del Muro è una pagina della Storia di cui andare fieri. Gli hooligan e i neonazisti sono stati tenuti lontani dalla manifestazione. Chi è sceso in strada porta delle rose in mano e le infila tra le fessure dei resti di Muro che ancora si ergono in varie parti della città. A ricostruirne il percorso originale sono 8000 palloni luminosi, ad ognuno dei quali è stato affidato un padrino che avrà il compito di slegarlo alle 19:00 di questa sera, mentre l’orchestra nazionale diretta da Daniel Barenboim suonerà un maestoso Inno alla Gioia.
I palloni si alzano nell’aria, uno a uno, come una collana di perle che si sfila nel cielo nero come l’ebano. Ed è come se le tristezze che la divisione ha provocato, il dolore e la sofferenza, si alzassero leggere per esser sospinte via dal vento, insieme al ricordo indelebile di quanti su questo confine hanno perso la vita, rivendicando un diritto inalienabile che sarebbe poi stato riconosciuto a quelli dopo di loro.
La quadriga che sovrasta la Porta di Brandeburgo risplende tra le esplosioni colorate dei fuochi d’artificio mentre, nell’emozione che abbraccia tutti come il rifluire improvviso della marea, una scritta è proiettata sul maxi-schermo: Voce alla libertà. E ritorna alla mente lo slogan di quei manifestanti che furono i visionari di una Germania unita: Wir sind das Volk, wir sind ein Volk! Noi siamo il popolo, noi siamo un popolo!
Foto di copertina: Petra Fantozzi