Doppio movimento con Baricco
“Siamo gente che il sabato sera s’incontra per leggere Proust, non siamo migliori di altri, siamo diversi”. Dice Alessandro Baricco, scrittore e fondatore della Scuola Holden, rivolto alla sala del Teatro Nuovo gremita di persone venute ad ascoltare una delle sue lezioni-monologo di questa kermesse di tre giorni a Napoli. Tucidide e il senso della giustizia, Proust e gli strumenti della scrittura, Luigi XVI e il tempo.
Perché anche se il tema è Proust, stasera si racconta la vita, si scende giù negli abissi attraverso lo strumento più potente che abbiamo a nostra disposizione: le parole.
Sedie aggiunte sul palco ai lati della scrivania di Baricco fanno da cornice alla figura discreta e alla voce narrante. Molti giovani affollano il palco, un ragazzino appena tredicenne siede attonito tenendo ben stretto fra le mani un libro di Baricco, – forse è Seta, mi piace pensarlo perché l’ho amato- probabile che aspetti il momento della dedica. E questo mi emoziona. Il pensiero che stia qui, di sabato sera, ad ascoltare una lezione sulla scrittura per portare a casa qualcosa che gli racconti come funziona il mondo.
Perché anche se il tema è Proust, stasera si racconta la vita, si scende giù negli abissi attraverso lo strumento più potente che abbiamo a nostra disposizione: le parole. Queste si trasformano in arditi grimaldelli per scalfire la conoscenza convenzionale che abbiamo del mondo, quella che ci è necessaria per sopravvivere, ma che non è abbastanza per innalzarci sopra la realtà nuda. Non si scorge alcuna ambizione di esaurire l’enormità e la complessità della dimensione proustiana in un’ora e mezza ma Baricco si profila come una mano che accompagna l’ascoltatore, come un Caronte che lo traghetterà per il viaggio in questo affascinante mondo della Recherche. Una mano che guida e ha le movenze di una mano di artigiano che lavora o una mano di scrittore che scrive e che attraverso la sua tecnica artigianale di scavo getta luce sul suo mondo personale.
La scrittura di Proust è tutta lì davanti a noi: una cattedrale costruita per essere abitata, ma prima dobbiamo entrarci dentro, come ad immergerci in un abisso sconosciuto per aprirci al mondo e scandagliarne ogni angolo, a patto poi, ricorda Baricco, di richiuderlo. Così passo dopo passo camminiamo su un percorso perfettamente architettato per noi da Proust, piastrella dopo piastrella appoggiamo il piede esattamente dove aveva immaginato lui, sfiorando l’ abilità manuale della sua spaventosa tecnica di scrittura. Dall’imenottero all’ascensore alla lettera per la sua amata, riusciamo a penetrare sempre più a fondo nella dimensione proustiana e in generale ad accostarci e comprendere un po’ di più quella che è la creazione e la cassetta degli strumenti dello scrittore . Come se avessimo un bisturi fra le mani, teleguidati dalle parole di Baricco, entriamo nel cuore delle cose, vivisezioniamo il testo, spacchiamo a metà e poi ancora a metà l’esperienza umana che vi è rappresentata con scientificità da entomologo e calore d’amante. E quando arriviamo al cuore delle cose, possiamo rischiare di afferrare il cuore del mondo. Quando tagliamo in pezzi il mondo esso si disfa innanzi ai nostri occhi. Tu lettore-bambino sei dentro, apri per guardare cosa c’è sotto. Ma da bravo chirurgo dopo aver tagliato devi sapere ricucire, come un pastore riunisce il gregge all’interno dello steccato. Come nella musica più autentica un doppio movimento si manifesta sia nella scrittura, con una frase che si apre e si richiude, sia nella vita col caos e l’ordine e viceversa. Anche se non ci crediamo fino in fondo a noi lettori piace aver qualcuno che ci squaderni il mondo avanti agli occhi, a patto dopo di saper richiudere. E’ la vita amici, la vera vita vissuta, è la letteratura.