E cola a picco
Uno sbuffo d’acqua e va giù, dopo giorni d’agonia. “Cola a picco” grida la vedetta quasi con sollievo, mentre rientra sotto coperta, stanca d’esser schiaffeggiata da un mare impudente.
E’ così che immagino l’inizio di questa storia. Avete letto bene: lo immagino soltanto. Nessuno conosce mai la verità che c’è dietro un naufragio.
C’è chi suppone che sia stata un’avaria, chi un’abile manovra per frodare i Lloyds, o forse il capitano aveva bevuto.
Non m’interessa com’è andata veramente. Lentamente scendo sopra il castello di poppa, una visibilità straordinaria toglie fascino alla scoperta, e mi sbatte in faccia la realtà: vedo lo scafo per intero.
M’inginocchio al cospetto della signora che porge il petto controvento, pronta a ricevere il coltello dell’affondamento proprio in mezzo, sino a squarciarle il ventre. Cola a picco aperta, sventrata e immobile. Così giace. Incatenata al fondo, lancia un urlo raggelante come il silenzio che la circonda. Sono a disagio, ho la sensazione di sentire lo stridio delle lamiere schiacciate dalla pressione, e il tonfo di quando la nave ha toccato il fondo, voglio scappar via.
Tutto è rimasto lì come quando è affondato, o quasi. Il relitto è stato bonificato da tutto ciò che poteva essere ritenuto inquinante o pericoloso per l’esplorazione subacquea. Eppure io non riesco a guardarlo come un parco giochi, dipenderà dall’umore o da non so cosa, ma ho pena per quella nave in assetto di navigazione. La cabina di comando è spoglia, vuota, qualche sciacallo si è portato via il timone, ma è come se lo vedessi ancora ruotare a dritta e a prora. Il fantasma della nave è ancora in navigazione.
Solo i pesci donano dinamicità all’enorme carcassa di metallo, la vita vi si aggrappa nel timore d’esser strappata via da un fatuo vento sottomarino. Non riesco a veder la gioia del mare, oggi, lo spettro del disastro ha vinto la fantasia.